Investire sui giovani, pensando a un numero obbligatorio minimo da schierare, per rilanciare la serie C, vivaio privilegiato per i giocatori italiani in erba, messa in ginocchio dal Coronavirus. Con la politica investita della responsabilità di “trovare per il calcio minore risorse adeguate, introdurre l’apprendistato per quei giovani contrattualizzati al minimo e una decontribuzione fiscale per chi, a tempo perso, collabora con noi”. Parola del presidente dell’AlbinoLeffe Gianfranco Andreoletti, in una lunga intervista all’ufficio stampa del club pubblicata sul sito ufficiale alla vigilia della riunione della Lega Pro in videoconferenza del 3 aprile. Un panorama, per il terzo campionato nazionale, adombrato dalla possibile cassa integrazione per i calciatori e dal rischio di molte proprietà di dover chiudere i battenti.
Presidente Andreoletti, qual è il suo punto di vista a riguardo?
“Al momento viene difficile pensare che a breve si riesca a debellare il virus e si ristabiliscano quelle condizioni necessarie per una regolare chiusura dei campionati. Trovo corretto che il Presidente Ghirelli abbia deciso di convocare un’assemblea per fare il punto sulla situazione. Complicato prevedere se si arriverà all’ulteriore sospensione del campionato per poi riprendere a giugno o a luglio, se alla sua conclusione congelando le classifiche o al suo annullamento, ma domani sarà sicuramente l’occasione per confrontarsi e individuare una posizione comune anche su questo tema”.
Si parla tanto della possibilità di ammortizzatori sociali o di altre misure per la sostenibilità della Serie C.
“Nell’assemblea di domani presumo che vengano date informazioni anche su diverse tematiche come la possibile introduzione della cassa integrazione in deroga per gli sportivi professionisti o gli eventuali sviluppi del confronto con le associazioni sindacali di categoria. Sono entrambi argomenti vitali per le società di C, le quali vivono già ora, a differenza delle altre due Leghe professionistiche, in un contesto ‘strutturalmente non sostenibile’. Tante proprietà che oggi le sostengono a breve dovranno scegliere se finanziare le proprie attività o la propria società sportiva”.
A tal proposito, come vede il futuro della categoria?
“La Lega Pro si è qualificata come ‘la Lega dei pulmini’, ruolo che ha funzioni sociali e sportive. Sociali perché alleviamo tanti ragazzi, a cui insegniamo i valori fondamentali dello sport – sacrificio, rispetto delle regole e degli avversari – ma anche del vivere quotidiano. Sportivo perché le nostre 60 società, presidiando il territorio, prima individuano i ragazzi di prospettiva professionistica e poi li formano, facendoli diventare giocatori. Abbiamo un ruolo fondamentale per il calcio italiano, considerato che i settori giovanili delle altre categorie professionistiche sono frequentati sempre più da ragazzi stranieri. Non bisogna poi dimenticare che questa mission consente di ridurre i costi di gestione. Sarà fondamentale che questa venga non solo confermata, ma anche rafforzata attraverso l’utilizzo obbligatorio di un determinato numero di giovani. Creeremmo le condizioni per un futuro caratterizzato da minori costi, ma con prospettive di possibile valorizzazione dei giovani cresciuti nelle nostre società ed eviteremmo quella situazione di disequilibrio sportivo che si crea quando si affrontano club che, non schierando alcun giovane, ‘tradiscono’ la mission della Lega Pro”.
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di una possibile riforma della terza serie, con l’idea di creare una Serie C Elite per sole 20 società.
“Una soluzione contraria agli interessi del calcio italiano. La Lega Pro ha il compito di presidiare e allevare i talenti italiani. Ridurre le società ‘professionistiche’ significa ridurre anche il numero dei giovani italiani. Chi crede nelle funzioni di questa Lega non può che schierarsi contro questa soluzione e sollecitare la politica affinché indirizzi la Federazione a ‘investire’ sui giovani italiani. Pongo una domanda: è più utile per il sistema calcio italiano e per la nostra vita quotidiana investire annualmente 100 milioni di euro per giocatori di fama o rende più investirli sui giovani italiani dando loro strutture e formatori qualificati? Io non ho dubbi e da qui partirei per rilanciare un sistema che, ricordiamocelo, rappresenta la quarta industria nazionale. In tal senso rivedere la Legge Melandri, perché riconosca al calcio minore risorse adeguate, introdurre l’apprendistato per quei giovani contrattualizzati al minimo e una decontribuzione fiscale per chi, a tempo perso, collabora con noi sono le vere e utili priorità su cui lavorare”.