E’ arrivato a guidare il settore giovanile dell’Atalanta nel 1991 chiamato da Antonio Percassi, ha lasciato, un po’ forzatamente nel 2015, dopo 25 anni, Mino Favini, scomparso stamattina all’età di 83 anni. Il Socrate del calcio giovanile nerazzurro se ne è andato in silenzio e quasi di nascosto. Con stile come ha sempre fatto nella vita. Prima che prodigioso talent scout dell’accademia atalantina, è stato anche giocatore che ha vestito la maglia dell’Atalanta, nel ruolo di mezzala, per due stagioni esordendo nella massima serie proprio a Bergamo, dopo le stagioni in serie B a Como e a Brescia e prima ancora nel Meda, serie D, la squadra della città dove è nato. Un brianzolo doc. Dopo aver lasciato il calcio giocato tornò a lavorare nella panetteria di famiglia, benché possedesse il diploma di ragioniere, fino a quando venne chiamato dall’allora presidente del Como, Alfredo Tragni, a riorganizzare il settore giovanile del club azzurro. Poi nel 1991 Antonio Percassi, sollecitato da Franco Previtali, lo chiamò a Zingonia. E in pochi anni ha fatto le fortune dell’Atalanta. E se oggi il settore giovanile nerazzurro è considerato d’alta qualità, insomma di prim’ordine a livello internazionale, lo si deve a questo brianzolo gentile, pacato, sempre sorridente quando lo si incontrava. Nel bel saggio di Stefano Serpellini e di Stefano Corsi “La Dea della giovinezza. Atalanta, un vivaio di uomini e campioni” (Bolis Edizioni), Favini spiega così : “Non è sufficiente essere calcisticamente bravi per emergere, ci vogliono qualità necessarie a diventare uomo. Insomma, ci vuole la testa, che è padrona di tutto”. Altro che genitori asfissianti, procuratori famelici, allenatori pretenziosi. E non è un caso quando, recentemente, Favini chiedeva pazienza per il giovane Bonaventura quando Colantuono lo strapazzava. Ecco le parole di Mino: “Al mister dissi: rimproveralo pure, ma ogni tanto non dimenticarti di dargli una carezza”. E infatti ha sempre reclamato pazienza verso i virgulti nerazzurri. Che sotto la sua direzione calcistica sono sbocciati in gran quantità. Stilarne un elenco sarebbe impossibile, non si finirebbe mai, ne citiamo solo uno, Domenico Morfeo, del quale ha detto “un genio, un talento calcistico puro, uno le cui giocate sorprendevano non solo i compagni, ma anche noi allenatori”. Ciao Mino.
Giacomo Mayer