Josip,
sappi che, stasera, non riuscirò a fare a meno di cercare il tuo sguardo.
E scusa se cercherò continuamente quel tuo sorriso, che ha sempre celato qualcosa di diverso, magico e beffardo al tempo stesso.
Ma a me basterà vederti sfiorare il pallone, che tra i tuoi piedi sembra fatato e leggero, quasi fosse lo zucchero filato tra le mani di un bambino.
Scusami se, in questi due anni, ho cercato – senza averne diritto – di scavarti nell’anima.
Ma tu lo hai fatto con me, e senza nemmeno sapere della mia esistenza.
Mi ha fatto persino piangere dalla gioia, più di una volta, più di qualunque altro.
Mi ha lasciato senza voce.
Ma soprattutto mi hai lasciato a bocca aperta.
E con gli occhi sbarrati.
Mi hai fatto – davvero – tornare bambino, ricordandomi che esiste lo stupore.
Con te, in campo o in panchina, ho sempre avuto una speranza di vittoria, e la certezza di vedere qualcosa di mai visto.
Ed è solo per questo che tutti hanno scritto di te, quasi sempre invano, molto spesso senza rispetto.
Mentre in molti, in queste ore, pensano all’Europa che sembra svanire, tra rimpianti, delusione e insoddisfazione, io – invece – penso ancora a te, al giocatore più forte della storia atalantina che ho potuto vivere.
Non ho mai versato una lacrima per l’addio di un giocatore dell’Atalanta, e non vorrei fare una eccezione stasera.
Perciò ti chiedo una favore:
Stasera sorridici, guardaci, abbracciaci, emozionati, emozionaci, e tocca ancora quel pallone – come solo tu sai fare – e rendilo zucchero filato.
Qualsiasi cosa deciderai di fare, da domani, non sarà un vero addio.
Perché noi continueremo a cercarti anche negli anni a venire, allungando il collo verso la panchina.
Perché sei il più forte, e al tempo stesso il più debole.
Ci hai ricordato che si può volare tanto in alto in questa vita, ma che si può anche cadere senza un motivo reale.
Grazie anche per questo, Josip.
Il nostro Eroe, che si è travestito da umano.
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