Così come oggi, tutte le volte che mi hai fatto da fratello maggiore. Ero un ragazzino, tornavo da scuola, mangiavo in un minuto, prendevo la mia bicicletta, la Bmx, quella rossa. Facevo la discesa di via Belvedere a cinquanta all’ora e in un attimo ero da te. E ti guardavo negli occhi celesti, gli stessi miei, pieni di pianto, zeppi della nostra malinconia, la tristezza dell’allegria di noi che siamo nati vicini alla frontiera. Segna un confine, di qui la realtà, di là la fantasia, e spesso è impossibile scegliere da che parte stare. E mi parlavi sempre piano, fermo, senza onde. E mi abbracciavi così forte che il mio tempo passava velocissimo, il pomeriggio in un secondo. E mi scocciava andare via, che già scrivevo e tu ti eri messo a insegnarmi tutte le tue parole, ma era sera, a casa era pronto e poi io ero in ritardo, come ogni volta.
Come sei bello, bello in quel modo che racconta Davide, il fantasma in soe la veranda, il barbera e la luna che par che sbanda. Bello come le nuvole sopra di te, che una volta vorrei andarci su per vedere com’è il tuo viso se mi metto a guardarlo all’incontrario. Bello come fermarsi, prendere il telefono e scrivere “amore mio, ti penso”, un po’ perché si è innamorati, tanto perché ci si trova improvvisamente immersi nel blu, il tuo e quello delle stelle tutte intorno. Bello che sei, bello bello, quasi meraviglioso, come tornare a vivere dopo un sacco di giorni passati chiusi in un appartamento in centro. Bello come andare in Vespa d’estate coi capelli bagnati dopo aver fatto l’amore su quella spiaggia a Onno. Bello come ogni favola che ho vissuto nella mia vita precedente, il tramonto e i falò a Mandello, lei che mi bacia sul collo mentre Teti sta suonando i Beatles, e tu, così come oggi, mi accogli.
E questo pomeriggio non potevo, che avevo mille cose. Ma mi mancavi e tu continuavi a chiamarmi. E ho mollato la mia Bergamo, la città di cui mi sono innamorato e che ho sposato ormai vent’anni fa. Ho lasciato il lavoro e sono tornato. Ho fatto perdere le mie tracce e a Cisano la mia macchina pareva già uno dei tuoi battelli. C’era il sole, ma a me sembrava di stare a navigare nel buio, come quella volta a pescare a Pescarenico, tra gli agoni stesi, che so che ti ricordi. E sono sceso dalla Panda, che ero arrivato tra i due ponti, e mi sono tolto le scarpe, i pantaloni, la maglietta e i calzini e mi sono buttato. Nell’immenso bisogno di trovarti per ritrovarmi, dopo tanti lutti e troppe parole in circolo.
E tu sei stato in silenzio, stringendomi forte, il mio fratello grande, il mio lago, che sta a Lecco e che sa ogni cosa di me nonostante ultimamente ci vediamo poco e male. Verrò a trovarti presto, all’inizio dell’estate. Per raccontarti un po’ come mi va, protetto, nella tua pancia, come sempre, da quando ero bambino.
Matteo Bonfanti
Nella foto: Lecco e il mio lago oggi, alle 15.14