Il mio lavoro consiste nel trascorrere il tempo in mezzo a una strada, il che comporta dieci, cento, mille, un milione di chilometri. Sinceramente non li ho mai contati ma trovo faccia molta scena scrivere “un milione” perché frase, cifra, idea altisonante che riempie la bocca: non so se mi spiego.
Comunque, per tornare a noi, anzi a me, al mio lavoro, riprendo il discorso parlando delle molteplici vie che siamo tenuti a percorrere, con nomi ridondanti, famosi e talvolta curiosi come il Conte Sora e il Capitano Sora, nomi di vie in paesi differenti che fanno capire l’importanza della famiglia di Sora Lella, attrice di commedie romane. Andando avanti, ovvero proseguendo il tragitto si giunge ad una via che mi ha molto incuriosito convincendomi a scavare più a fondo per scoprirne le origini. Sto parlando di via Adelasio a Ranica in cui dobbiamo passare con la linea 5D modificata. Mi spiego meglio: non è un tratto canonico, ci si passa solo in condizioni particolari ma, appunto per questo, per me pregna di attrattiva. Nelle mie ricerche ho scoperto che la suddetta via è nata in seguito ad un’esclamazione fatta nell’800 da tal Gioachino Zopfi, a cui è dedicata la via successiva, rivolta ad un parente che aveva difficoltà a far ritorno a casa siccome sbronzo. Il nipote, vedendo la difficoltà dell’uomo nell’imboccare la via giusta per la propria dimora, avrebbe urlato “vai di là zio” in ottimo dialetto del posto sebbene Gioachino fosse di origine svizzera. L’esclamazione del nipote si traduce in “a dé là zio” ma contando che in bergamasco, bresciano e limitrofi, la pronuncia della lettera zeta è molto simile ad una esse, ecco spiegate le origini della via Adelasio.
Salto di palo in frasca riportando una vicenda accaduta intorno agli anni ‘70 al nipote di uno dei due titolari della via Daste e Spalenga, famigerata strada da noi percorsa con la linea 8 mattiniera o serale. Un tale di nome Carlo DeFarabuttis, ricco mercante d’arte, aveva l’esigenza di far valutare un dipinto recentemente trafug…acquisito in una delle sue mirabolanti operazioni: domandò quindi referenze ad un conoscente, il quale gli fornì un numero di telefono. Accadde però che durante la composizione, il mercante mancò d’infilare il dito nel corretto buco della ghiera girevole dell’apparecchio a causa della vista impallata dal grosso anello in oro massiccio sull’indice: una banale svista sicché dall’altro capo della cornetta rispose guarda caso tal Manlio Daste, nipote del padrone di casa.
“Pronto, casa d’aste?” domandò DeFarabuttis “Sì” rispose il giovane… ed il resto è storia.
Colgo l’occasione per fare un tuffo di molti anni fino al tempo di Hammurrabi, il re babilonese che visse intorno al 1.800 a.C. e famoso per aver composto uno dei primi codici di leggi scritte. I cenni storici riguardo a questo sovrano sono frammentari tanto da non poterne stabilire il periodo di reggenza con esattezza. In una pergamena rinvenuta agli inizi del secolo scorso a Baghdad, capitale dell’odierno Iraq, si è evinto che Hammurrabi, per l’amministrazione dell’impero che edificò, aveva comandato la realizzazione delle Hura, ovvero costruzioni in cui mise funzionari per il rilascio di documentazione così velocizzando riconoscimenti e censimenti del suo popolo. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un’amministrazione pubblica, la Hura aveva caratteristiche private ed ognuna incensava la propria efficienza a mezzo di cartelli affissi all’entrata. La più famosa non era sita nella capitale del regno bensì ad Uruk, altra famosa città del regno, la quale riportava una dicitura che tradotta dall’accadico, lingua del tempo, così recitava:
“Il tempo è denaro: in questa Hura documenti pronti prima che il gallo canti”
I cenni storici spesso si perdono nella notte dei tempi ma a Roma, negli scavi per la nuova linea della metropolitana, è stato ritrovato uno scritto stavolta in lingua anatolica riportante la medesima dicitura. Da una ricostruzione è nata quindi l’ipotesi che Enea, giovane sfuggito alla distruzione di Troia e approdato in Italia, abbia portato nella penisola le Hura e che poi, a seguito di mutamenti linguistici, le parole “questa Hura” si siano trasformate in un unico vocabolo perdendo la “H”, divenendo l’odierno “Questura”. A questa deduzione si è giunti però grazie allo studio di un altro vocabolo indicante un locale che originariamente era sito in una porzione di edificio della Hura fungente da “accettazione”. Il suo nome è un acronimo: “Pre-Fetta-Hura”, ovvero la parte antistante alla stessa struttura che in sintesi, nella lingua italiana corrente, ha assunto valenza di “Prefettura”.
Per questa ed altre perle rimanente sintonizzati o meglio, come dicono i giovani, stay tune.
Marcus Joseph Bax