Nelle gerarchie della fascia, intesa come simbolo del primato nello spogliatoio e a pelo d’erba, Marten de Roon viene subito dopo Rafael Toloi e Remo Freuler, che l’ha indossata a Cagliari. Ma per i tifosi e anche gli addetti ai lavori la diga olandese del centrocampo, spesso adusa a rinculare a protezione del terzetto difensivo, è il Capitan Futuro dell’Atalanta. Un po’ come Daniele De Rossi alla Roma quando l’intoccabile era Francesco Totti. A San Valentino, nel risicato successo sui rossoblù alla Sardegna Arena, il prestigioso traguardo delle 200 presenze in nerazzurro. Da subentrato in corsa, nella ripresa, a Matteo Pessina, il nuovo idolo atalantino, il dopo Gomez, arretrato però in mediana nell’occasione.
Per De Roon anche il cuore in gola e la strizza per la decisione arbitrale al novantaquattresimo poi per fortuna contraddetta dal Var. Quel calcetto sulla caviglia di Daniele Rugani nel tentativo di tirare in porta. Solo che di mezzo c’era lui, come spesso gli è accaduto in questi anni in sella al reparto nevralgico della Dea, da antesignano dell’era gasperiniana con intermezzo a Middlesbrough. Per lo stesso motivo è sul podio degli aventi diritto all’insegna del comando: il brasiliano è qui ininterrottamente dal 2015, lo svizzero dal gennaio successivo. Bravo lui, nonostante il rischio corso, davvero da fifa blu. E quanta acqua è passata dal ponte dell’esordio, a Ferragosto 2015, nel 3-0 (con gol) casalingo al Cittadella in Coppa Italia. Una delle 14 partite nel trofeo della coccarda, sommate alle 160 in serie A e alle 26 nelle coppe europee. Nel computo, 14 gol e 11 assist. Un abbraccio a Capitan Futuro.