di Simone Fornoni 

Un 4-1 soprattutto grazie a un fenomeno ritrovato. La favola che scaccia la telenovela come si fa con gli insetti fastidiosi. Anche se il ronzio rimane. Gian Piero Gasperini, a fine partita, a Sky è stato netto: “Se si arrabbia l’allenatore è un conto, se lo fa il presidente diventa più difficile. Non chiedetemi più del Papu Gomez: ci penserà la società ad aggiustare la situazione”. I due assist per la rimonta contro la Roma, leggi fiondata a fil di traversa di Duvan Zapata e zuccata di Robin Gosens, e l’assolo finale di Josip Ilicic, a tiro del tris servito dal furbissimo Luis Muriel, hanno spostato soltanto un po’ più in là la spinosissima questione legata al capitano argentino della squadra, detronizzato dall’esclusione congiunta di tecnico e proprietà dalla prova del nove in campionato dopo mille stenti e una discontinuità mai vista in quattro anni e mezzo. Ma l’Atalanta non può prescindere dai giocatori di qualità per salire di livello, rampando fuori dalla crisette temporanee, soprattutto quella del gol risolta solo parzialmente ieri nella ripresa. Nell’intervallo, infatti, il mister si è reso conto che la tattica su un campo di calcio basta soltanto alle pericolose illusioni, che poi sbattono fatalmente su aggiustamenti di mira in numero eccessivo per una compagine di alto rango quale ormai vanno considerati i nerazzurri, capaci di agguantare gli ottavi di finale di Champions League per la seconda volta su due partecipazioni.

Ruslan Malinovskyi è un ingegnere del pallone dagli estemporanei estri da architetto, ma se si incaponisce a provarci di suo, fatta salva la punizione perfetta la settimana precedente con la Fiorentina, dimostra al mondo intero che un attaccante è tutt’altra cosa. Quanti tiri ha sbagliato, l’ultimo tagliando dal dischetto di esterno collo sinistro quando sarebbe stato comodissimo usare l’altro, su quel cross del Toro di Cali spondato da Hans Hateboer, roba che il Papu al posto suo sarebbe già stato crocifisso in sala mensa a Zingonia, e quanti gli sono stati ricacciati in gola dall’ex Roger Ibanez? I colpi di genio per ribaltare lo score aperto dal solito Edin Dzeko, sei in undici scontri diretti per soli due punti conquistati, la metà proprio a Bergamo, non potevano e non possono far parte dell’armamentario del giocatore ordinario. Il soldatino diligente, tecnica dal normale al discreto e nulla più, che fa dell’obbedienza all’uomo in panchina una ragione di vita, per intenderci. Ci vogliono i campioni, in grado di capire come e quando imprimere alla sfida la svolta decisiva senza ragionarci troppo. Perché a forza di pensarci su, poi, magari vai sotto perché Rafael Toloi e Cristian Romero si fanno battere sul tempo dal doppiopassista Mkhitaryan e dalla girata sul mancino dell’ariete bosniaco, l’ex Leo Spinazzola a momenti non ti fa il secondo e solo il culo ti salva, alleandosi nel caso con la base del palo esterno.

Invece, no. Era sufficiente inserire non una punta virando a un 3-4-3 non soltanto di facciata, bensì uno dai colpi di classe rimasti spesso e a lungo in canna. Per mesi interminabili, visto che i santini del buon San Giuseppe sono abituati a farsi sospirare, mentre la regolarità del numero 10 non è mai mancata nemmeno nel post lockdown atto primo, quando l’eroe dell’ultima domenica si era fermato in campionato al 7-2 di Lecce il primo marzo e in Europa all’incredibile poker valenciano il 10 successivo. Quindi la crisi, nel post Juve-Atalanta 2-2 della fine dei sogni scudetto, 11 luglio, senza aver mai ripreso a estrarre conigli dal cilindro del suo calcio tutto fantasia e intuizioni, e l’attesa per tutto settembre, esentato perfino dal raduno. Gomez, autore tra gli innumerevoli passaggi vincenti di quello per l’apripista proprio dell’altro fuoriclasse ad Anfield Road il 25 novembre, paga l’insubordinazione col Midtjylland. Ilicic, rinvenuto dall’ennesimo problema, una forma influenzale con mal di gola, ha ridato smalto a un attacco che nella sua bocca da fuoco, il colosso lo colombiano, era inceppato dall’1-3 interno con la Samp e dalla doppietta con l’Ajax in casa, 24 e 27 ottobre.

I tifosi nerazzurri ormai, anche a forza di dargli addosso nemmeno fosse un criminale o avesse sputato sulla maglia, perché prendere a calci l’uomo a terra è un malvezzo diffuso, senza parlare dell’irriconoscenza, si sono rassegnati a dover fare a meno di quello che fino a tre settimane fa era considerato unanimemente il simbolo dell’espressionesportiva più esaltante, emozionante e coinvolgente della Bergamasca. Terra e popolo che vivono sul lavoro e sul sudore. I sogni, però, cogli onesti professionisti della pedata non si possono fare. Forse, fatto fuori il destro, di campionissimo rimarrà il sinistro e sarà comunque sufficiente ad alimentare ambizioni rinnovate quanto sacrosante. O forse no. Ci vuole poco a tornare coi piedi per terra o al mediocre anonimato del pre GasPapu. Leggi il connubio che si è spezzato. Il 20 dicembre, al 9′, se fosse entrato il bis nemico si sarebbe probabilmente arenato un ciclo, la corsa alla qualificazione europea che conta sbarrata fino a nuovo ordine. Pensate a cosa sarebbe successo se la faringite avesse continuato a perseguitare Josip, uno che ha più vite dei gatti, essendo fondamentalmente rinato a metà del mese scorso col rigore al 94′ col Kosovo per la promozione della sua Slovenia alla Lega B della Nations League. Senza gente che ci sappia fare col pallone tra i piedi, gli obiettivi tornerebbero ad avere le sponde del Brembo e del Serio come ostacoli. Se non quelle del Morla. Che facciamo, troviamo subito un erede del Diez in uscita o aspettiamo che cada la manna dal cielo?