di Evro Carosi

Mario bambino era brutto, timido e pure povero. Una volta adulto si ritrovò bello, intraprendente e ricco. Come fece non si sa. Poco importa. Ciò che conta sapere è che nessuno si prese la briga di spiegargli che esistono consuetudini d’amore: durante la sua infanzia nessuno avrebbe potuto immaginare una ragazza pronta ad amarlo.
Mario giunse al suo primo incontro completamente impreparato. Inutile dire che così bello e così ricco divenne l’ambita preda del fiore delle femmine. La sua prima compagna fu Luisa, solo perché riuscì con uno stratagemma ad evitare la coda delle altre pretendenti.
Gemma lo incontrò con tre giorni di ritardo e Mario, che non ritenne necessario avvisare Luisa, non si negò a lei. Così fu per Gloria, Gabriella e almeno altre cento solo nei primi due mesi d’amore, tutte convinte d’aver l’esclusiva. Naturalmente scoppiò un putiferio. Per la prima volta Mario sentì gridare fedeltà, gelosia, tradimento. Tutte ne reclamavano la proprietà. “E mio!”, rivendicava Sara. “No, è mio!”, replicava un’infuriata Roberta. “L’ho visto prima io!”, vantava Luisa, quella che aveva evitato la coda come il furbetto agli uffici dell’Inps. Gloria la più comprensiva – forse perché la meno graziosa – lanciò un’idea rivoluzionaria: “Mario è di tutte!”.
Per tentare di tutelare il ragazzo, anche la mamma e le tre sorelle decisero di entrare in guerra. Organizzarono un casting al quale partecipò la maggior parte delle pretendenti, forse per disperazione. Stabilirono che la vincitrice di una gara di triathlon avrebbe avuto in premio la mano di Mario. La gara prevedeva un sfilata vestite di soli veli, la dichiarazione dei redditi del padre ed un test di economia domestica.
Nel frattempo Mario continuò la sua vita d’amante non iscritto all’albo, collezionando fidanzate come figurine. Ogni volta che il gruppo di ‘grazie’ si faceva numeroso, mamma e sorelle bandivano un nuovo concorso.
Anche il parroco tentò la causa, senza successo. Intervenne l’Autorità per motivi di ordine pubblico. Ma come condannare Mario che agiva nel pieno della legalità? Fu così che Cecco, detto l’invidioso e Delfino del Re, fece approvare una legge che impediva a chiunque di amare dieci donne contemporaneamente. Nove sì, ma dieci no.
Mario, ormai famoso, non riuscì a rispettare il limite imposto. Rincorso da centinaia di pulzelle, che per amor suo e della vanità sognavano la predella, Mario si concesse a loro in egual modo.
Fu condannato senza appello. Da tempo latitante venne arrestato sui monti di Trento da un soldato armato di mitraglia. Condotto in un carcere speciale, Mario non si diede per vinto ed iniziò a scrivere al Re per ottenere la grazia. Supplicava di non esser paragonato a chi ruba “sei cervi nel parco del Re”. Garantiva di non avere rapporti di parentela con quella chioma bionda che chiese irrispettosamente cinquemila lire a Carlo Martello e, soprattutto, raccontava nel dettaglio i suoi incontri amorosi, domandando al Re cosa avrebbe fatto se si fosse trovato nella sua braca.
Il Re ricevette tre lettere a settimana e, seppur mostrando indifferenza, le conservò in un forziere segreto. All’inizio le missive costituirono per il sovrano un momento soltanto gradito. Al passar del tempo divennero un momento irrinunciabile.
Ma i potenti, è risaputo, esagerano spesso in alterigia, e così Mario non ricevendo alcuna risposta smise di scrivere. Il re divenne improvvisamente nervoso. Nel tentativo di placare l’astinenza si dedicò a letture appassionate ed altre attività. Triplicò i tributi ai poveri, vietò il fumo in luoghi chiusi e installò una grande ghigliottina in piazza Maggiore.
Ci provò in tutte le maniere, ma nulla risultò essere appagante quanto i racconti di Mario. Triste e provato il Re decise di stabilirsi nel carcere dove l’insigne amatore era rinchiuso. Si fece costruire una grande cella dotata di tutte le comodità. Ogni pomeriggio riceveva Mario in salotto e si faceva raccontare minuziosamente le sue mille storie d’amore. In cambio avrebbe abrogato quella stupida legge che, a pensarci bene, era una gran vaccata.
Passarono gli anni. Il Re ormai governava dalla prigione. I carcerati sostituirono i suoi consiglieri, condividendo impressioni e commenti con i suoi nuovi uomini di fiducia.
Alla fine del terzo anno finirono anche le storie. Il sire però voleva ascoltarne altre. Non ebbe scelta e Mario fu liberato, con l’obbligo di trovare, prima o poi, una donna alla quale rimanere per sempre fedele. “Prima o poi!”.
Al tempo in cui ebbe inizio questa vicenda Mario aveva vent’anni. Oggi ne ha centotrentasette. Non ha ancora deciso se amare davvero. Ogni giorno riempie un foglio di parole, scrivendo fitto fitto. Nessuno sa quel che scrive, perché una volta arrivato in fondo straccia quel foglio e ricomincia. Alcuni pensano voglia scrivere una lettera d’amore, altri credono stia elaborando nuove consuetudini per gli innamorati.
Il Re morì il giorno del suo centesimo compleanno, non appena una bella infermiera ebbe terminato di recitare il suo racconto preferito. A quell’infermiera e ad altre mille cortigiane il sovrano lasciò in eredità oro e ricchezze, ma non sappiamo perché.
Il parroco morì dallo spavento dopo aver raccolto la confessione di Cecco l’invidioso, per una volta il Delfino volle raccontare ad un prete quel che in vita non fece, ma che avrebbe voluto fortemente fare.
E tutte le giovani pretendenti? Non posso sapere tutto.