In tempi non sospetti, leggi incipit stagionale con interviste concesse alla stampa – cartacea e web: niente tv, niente Sky, la Rai alla porta – a Zingonia, Gian Piero Gasperini ha lamentato in Italia l’assenza di cultura favorevole all’emergere della figura del manager all’inglese. “Difficile che in Italia ci sia un Alex Ferguson“, la sua osservazione non troppo indecifrabile. Non solo allenatore, anche responsabile di fatto della programmazione e del mercato. Gli dai il budget e sceglie lui, attraverso i dirigenti e non in second’ordine rispetto a loro. Inutile dire che all’Atalanta, come altrove nel nostro calcio, un po’ limitato dai ruoli fissi anche nel managament, spesso a compartimenti stagni, una situazione del genere cogli equilibri attuali, resi però precari dal primo dissidio tra tecnico e capitano, è assolutamente fuori discussione.
Eppure il responsabile della panchina, anche se non lo dichiara mai apertamente, aspira alla responsabilità totale delle operazioni. Dal mercato al campo, appunto, senza mediazione della società nemmeno in caso di rottura anche solo temporanea con la voce in capitolo nello spogliatoio per motivi contingenti e squisitamente tattici. Il Papu Gomez che si rifiuta di allargarsi a destra contro il Midtjylland venendo poi lasciato fuori sia nella ripresa che dalla lista dei convocati per Udine, dove comunque non s’è giocato, è solo la punta dell’iceberg. La questione è aperta dalla quinta stagione di fila. Il Gasp ha la parola unica a pelo d’erba, altrove assolutamente no. E la sensazione netta, per non chiamarla certezza, è che a fine stagione senza il salto di qualità e di mentalità, rendendo i dirigenti a mo’ di collaboratori-esecutori ma mai decisori ultimi al servizio del mister, il profeta di un ciclo che sembra infinito possa decidere di chiuderlo andandosene dove sarebbe più pagato, richiesto e soprattutto libero di fare come crede, deve e sa.
Ha dimostrato di meritarsela, la trasformazione in Sir Alex da parte della Famiglia Percassi. E vorrebbe che fosse così, per quanto non possa permettersi di reclamare pubblicamente più che le “mani libere nelle scelte”. Sarebbe da ingenui pensare si riferisse, e si riferisca, soltanto alla revisione tattica il cui eroe eponimo è Matteo Pessina, terzo centrocampista puro di ruolo in un reparto denso studiato per irrobustire a maglie più strette il filtro alla fase difensiva. Con conseguente adeguamento del freschissimo ex tuttocampista, che lo faceva dal 21 ottobre 2018 in casa del Chievo, dal numero 10 sulle spalle, (ri)costretto a virare a punta pura almeno col possesso a favore. O così o Pomì, recitava un vecchio adagio pubblicitario del piccolo schermo. Non è solo questo, nossignori. L’uomo in panchina intende essere il moloch anche dietro la scrivania. Dalle operazioni di mercato a tutte le altre deleghe, ora in mano a diverse figure nell’organigramma, che riguardino risorse umane e non, per far funzionare le cose sul campo. Organizzazione e programmazione in capo al responsabile tecnico. Chimera? Le sirene inglesi non lo sono. Un suggerimento: lasciatelo fare o lasciatelo andare. Diversamente, chissà quanti casi Gomez…
Simone Fornoni