Sarà il lockdown o, più probabile, la musica dei GooGooDolls (che sto ascoltando a raffica come un tempo) che mi rimanda ai miei 16 anni. Anno 2000: dormivo poco, ero sempre in giro con il walkman e sfornavo compilation su musicassetta come fossero dj set. Si chiamavano “Come sei Nella vol.1/2/3”, “Dal mio pezzo di cielo”, “Super Skunk Football Club”…
I ricordi si accavallano: il liceo Lussana, un continuo bombardamento di stimoli, la pallavolo a Loreto, zona 167, con un gruppo pazzesco e, a fine stagione, un infortunio rimediato non sul campo ma in moto. Ancora con le stampelle, ricordo come fosse ieri di aver assistito, dal divano di casa, a uno dei discorsi forse più potenti nella storia dello sport.
“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare, di unire le persone. Parla ai giovani in un linguaggio che loro capiscono. Lo sport è più potente dei governi nel rompere le barriere razziali e ride in faccia ad ogni tipo di discriminazione”
Era il 25 maggio del 2000. L’inaugurazione del Laureus World Sports Awards e Nelson Mandela parlava davanti a delle leggende dello sport come Serena Williams, Sean Fitzpatrick, Boris Becker…io lo vedevo per la prima volta e alzavo il volume:
“Gli eroi che sono vicini a me stasera sono un esempio di questo potere. Sono valorosi non solo in campo, ma anche nelle loro comunità”
Difficilmente qualcosa vista in TV mi ha segnata così tanto. Forse solo l’anno dopo: le notizie da Genova e l’uccisione di Carlo Giuliani, ma questa è un’altra (triste) storia…
Torniamo al 2000: ho ancora i brividi quando penso a quel discorso. Se dovessi esprimere un desiderio per lo sport del futuro sarebbe proprio quello di lasciarsi ispirare da quelle parole.
Gli ambienti sportivi stanno sicuramente diventando sempre più qualitativi e organizzati, ma forse stanno lasciando indietro qualche pezzo. Penso a tutti i corsi di formazione per noi allenatori: in queste occasioni non ho mai sentito parlare dei valori dello sport enunciati, per esempio, nella carta olimpica. Siamo tutti giustamente molto attenti al risultato, alla motivazione, agli aspetti psicologici, alla tecnica, ma forse stiamo perdendo di vista valori più importanti come il diritto allo sport, la lotta alle discriminazioni, la solidarietà…messaggi che un atleta, una squadra può e deve mandare sul territorio.
Senza voler generalizzare, mi chiedo se a volte lo sport diffonda, senza accorgersene, messaggi di prevaricazione più che di solidarietà e convivenza.
Non so, tuttavia, ci sono diverse realtà tese a recuperare il primato sociale dello sport e tra queste sicuramente quelle impegnate nello Sport popolare, movimento che si sta ampliando in Italia, presente anche a Bergamo. Non si tratta solo di un modo diverso di vedere e vivere lo sport, ma anche di una pratica di cambiamento attivo: un modo per creare aggregazione, costruire comunità e ridisegnare gli spazi della città.
Questa settimana ho avuto il piacere di chiacchierare con i ragazzi di due realtà di sport popolare bergamasche.
La prima, il BAU, (Bergamo AntifaUnited) è una squadra di calcio, nata 6 anni fa, fondata sui valori dell’antifascismo, della socialità, dell’integrazione. “Non è il culto della vittoria a guidarci ma il rispetto dell’altro! Nello sport popolare non si perde mai: ogni evento è un trionfo di umanità”.
La seconda realtà, più antica, è la Palestra Popolare Paci Paciana dove si pratica Boxe, MuayThai e Jujitzu. Un progetto realizzato nel centro sociale della nostra città che nasce dall’esigenza di avere un luogo dove garantire una pratica sportiva di qualità, che apra all’incontro e allo scambio, che costruisca relazioni e contamini stili e culture diverse. “Lo sport è un diritto. Nella nostra palestra, il ring, le docce, i sacchi li abbiamo costruiti con le nostre mani”
Inutile dirlo: li ho riempiti di domande! Come prima cosa, chiedo loro di spiegarmi qual è la fonte delle loro risorse. Mi parlano di azionariato popolare, una pratica diffusa nel mondo sportivo internazionale.
“E’il motore dello sport popolare e anche del BAU. Dalla sottoscrizione libera di giocatori, tifosi e appassionati, traiamo benzina per promuovere progetti sportivi e sociali. Con questa modalità chiunque può diventare socio. I tifosi sono l’essenza del calcio: da una parte sono il colore e la voce che gremisce i nostri spalti, dall’altra sono un pensiero critico aggiunto a quello dei giocatori, del mister, del presidente”
“Se la palestra ha bisogno di qualcosa lo costruiamo, se dobbiamo affrontare delle spese facciamo colletta. Non esistono scale gerarchiche. Qualsiasi decisione viene presa per votazione diretta”
Ma quindi le attività sono gratuite?
“I prezzi di accesso alle attività della palestra sono bassissimi. Se qualcuno non ha la possibilità economica di pagare, semplicemente non paga”
“Tramite l’azionariato popolare cerchiamo di coprire le spese. A proposito di integrazione, abbiamo coinvolto tre ragazzi dei centri di accoglienza. In questo caso l’azionariato popolare supplisce alle difficoltà economiche, provvedendo ai costi di tesseramento, trasferte, visite mediche”.
Fate il terzo tempo?
“E’ un terzo tempo continuo, da quando ci incontriamo prima della partita fino al terzo tempo “ufficiale” che spesso dura troppo! Scherzi a parte, uno degli obiettivi che abbiamo è quello di creare partecipazione e appartenenza!”
“Il terzo tempo(per noi “quarto round”) è un pilastro della palestra. Dopo che combatti con qualcuno, devi andarci a bere. È normale diventare amici perché il miglior modo di conoscersi è fare a pugni!“
Un tema caro allo sport popolare è quello della riqualificazione degli spazi pubblici abbandonati. Quale supporto viene dato in questo senso dalle istituzioni?
“Pensando a Bergamo, si assiste ad un progressivo distacco della socialità dagli spazi pubblici. Ci riferiamo ad esempio-dice Francesco del BAU– al Parco della Malpensata dove c’era lo Spazio Gate. Covid o no, quello spazio è presidiato dall’esercito da marzo. È inaccessibile. Questa chiusura ha cancellato il buono che è stato costruito in questi anni in un quartiere sempre più ai margini, nonostante sia a due passi dal centro. Per non parlare dello sgombero della Kascina Autogestita Popolare, un luogo a cui siamo molto legati e che, dalla notte al giorno è stato sigillato con il tacito accordo di tutte le parti istituzionali. Qui non si parla di liberare stabili inutilizzati ma di stroncare all’improvviso attività in cui donne e uomini hanno creduto nel tentativo di immaginare unacittà diversa e aperta a tutti. Forse i tempi non sono maturi per sognare qualcosa di diverso, ma noi non molleremo mai!”
D’accordo anche Federico: “Sono quasi 20 anni che esiste la Palestra Popolare e le istituzioni non ci hanno mai sostenuto, anzi sembra che al comune non stiano molto a genio gli spazi liberi che creano salute, socialità e non profitto”
Lo sport popolare si sta sviluppando molto a livello nazionale. Ci sono eventi che uniscono le varie realtà?
“Ce ne sono molti a livello nazionale e internazionale e vi partecipiamo spesso. Uno, “Birra e botte” si tiene nella nostra palestra da diversi anni” ed è una delle cose più fighe di Bergamo: vedere per credere!
“A inizio settembre in Toscana c’è stato un incontro nazionale. Qui -spiega Pietro del BAU– c’è Bergamo Rebelde, una rete di squadre (tra cui Lokomotiv Jurka, Originals…) che organizza diversi eventi. Speriamo che al più presto si possa tornare a vivere queste splendide giornate di sport e solidarietà!”
C’è un personaggio sportivo che incarna più di tutti i vostri ideali?
“La risposta non è semplice-dicono i ragazzi del BAU–scegliamo però due simboli vicini al nostro territorio: Riccardo Zampagna e il Codo. Il primo per la storia di cui è protagonista, il riscatto sociale di chi è partito dalle fabbriche per arrivare alla serie A, a suon di rovesciate e vino rosso. Il secondo per le giocate spettacolari e quell’unico eurogol in carriera che l’ha convinto ad appendere le scarpette al chiodo e diventare il nostro presidente. Li accomuna…il pugno chiuso sotto la curva!”
“Sicuramente Johann Rukeli Trollmann, pugile al quale siamo particolarmente affezionati e a cui è stata dedicata la nostra palestra. Ci ispirala sua instancabile voglia di combattere, dentro e fuori dal ring.”
Ci raccontate qualche episodio negli spogliatoi?
“Ne abbiamo un archivio infinito ma la prima regola del fight club è non parlare mai del fight club”
“Potremmo scrivere un libro ma ve lo risparmiamo (per ora). Se siete curiosi di conoscerci, le porte sono aperte!”
Non male questo viaggio nel mondo dello sport popolare!
Viviamo un tempo sospeso dal lockdown. E non parlo del tempo quantitativo, il tempo delle ore che continua a scorrere, ma il tempo qualitativo: quello che segna i nostri giorni, sviluppa le relazioni, dà senso a ciò che facciamo. Ed è proprio in questo tempo sospeso che capisco la necessità di riconoscere il valore sociale di una squadra o di un’associazione sportiva che si fa lievito di una comunità, di una famiglia: la unisce e rafforza nei momenti difficili; le dà sapore impegnandosi tutti i giorni nella lotta contro ogni forma di discriminazione e contro tutti i fomentatori di odio presenti nelle nostre strade.
Antonella Leuzzi