Moto uguale Morte. Questo m’han sempre detto nonni, zii, parenti e conoscenti. Nonostante ciò, e non solo perché sia un bastian contrario, ho coltivato la passione per le due ruote fin dalla tenera età.
Chiaro che bisogna stare attenti perché, come racconta il luogo comune, “se non sei tu sono gli altri”. Detto questo adoro andare in moto. Il senso di libertà che sento gironzolando per le strade di questa nostra bellissima Italia non ha eguali, per non parlare del valore aggiunto che arrivava dall’adrenalina di quando scorrazzavo in pista: sentir strusciare sull’asfalto la saponetta sul ginocchio, avvertire il limite di aderenza della gomma posteriore in accelerazione nei lunghi curvoni in appoggio sono sensazioni uniche per chi sa goderne, incomprensibili per altri e persino ridicole per coloro che non apprezzano. Ma per me non è certo un problema perché la vita è bella perché è varia. Comunque, a proposito di pista, parecchi anni fa, in tono scherzoso (ma lo pensavo veramente) dissi al mio papà:
“Se tu avessi creduto in me investendo sulle mie capacità, adesso correrei in Superbike o in MotoGp”. L’affermazione, fatta dal giovane uomo che ero al tempo, servì solamente a far sentire in colpa mio padre perché la realtà dei fatti è tutt’altra cosa: se non hai degli agganci, e noi non ne avevamo, devi sborsare un mucchio di danaro solo per sperare di veder realizzati i tuoi sogni. La conferma l’ho avuta molto tempo dopo quand’ormai le mie velleità erano morte e sepolte. Per circa due anni infatti ho avuto la possibilità di seguire le vicende di un carissimo amico e del suo primogenito impegnati dapprima nel campionato italiano minimoto, poi in quello miniGp. Lui, quel gran genio del mio amico (proprio come cantava Lucio Battisti), ancora oggi è un uomo tuttofare difatti il suo ruolo al tempo delle corse in moto era quello di manager, di istruttore, di consigliere, di massaggiatore, di meccanico, di collaudatore così com’è la realtà per molti padri privi di moneta che s’arrabattano spinti dalla passione. Il figlio comunque non aveva niente da invidiare a gente che ora vediamo in televisione. Il ragazzo aveva seguito alla lettera i dettami del suo vecchio diventando un pilota tosto, di belle speranze, di quelli che sanno giocarsi il tutto per tutto dando il 110%, e divertendosi nel farlo. Non a caso il ragazzino era stato invitato a partecipare ad una gara di contorno del campionato mondiale di MotoGp a Silverstone, in Inghilterra, distinguendosi tra gli esordienti e meritandosi gli applausi del compianto Marco Simoncelli. Nelle gare di moto se sei un “gran manico” è la classe a parlare per te, ma se non hai sufficienti soldi per garantirti una permanenza nel mondo delle due ruote fino al momento della tua esplosione finisce che le tue belle speranze, puff, svaniscano nel nulla. La favola vissuta dal mio amico e dal suo rampollo fu ammaliante al pari del canto delle sirene descritte da Omero nell’Odissea difatti, dopo aver tirato la cinghia a dismisura per rimanere aggrappati al sogno, hanno dovuto mollare di colpo per evitare il tracollo finanziario di tutta la famiglia. Lui, quel gran genio del mio amico, l’ha imparata fin troppo bene la lezione e quando accade che solo si sfiori il discorso rivedo sul suo volto il dolore di quel lontano giorno, del momento che capì di doversi fermare prima di oltrepassare il fatidico punto di non ritorno. Quando siamo insieme evito il più possibile di parlar di gare ma ogni tanto mi scappa perché di quel periodo serbo ricordi fantastici: l’energia che si percepiva nel paddock era elettrizzante, coinvolgente e la vedevi sui volti di tutti quelli che incontravi. Errando per il dietro le quinte feci la conoscenza di tanti ragazzini speciali come Tony Arbolino, Niccolò Bulega, Stefano Manzi, Luca Marini e tanti altri ora impegnati nei campionati mondiali. Tutti simpaticissimi e bravi, ma bravi sul serio malgrado le voci denigratorie dettate dall’invidia (non so se tutti lo sanno ma l’invidia la si trova ovunque, anche nel posto più fantastico del mondo).
Ricordo in particolare le cattiverie a carico di Luca Marini, fratellastro di Valentino Rossi, che lo dipingevano vincente nella sua categoria solo perché si diceva disponesse di un budget illimitato. Il danaro certo aiuta, come asserito in precedenza, ma ci tengo ancora a sottolineare che nelle corse di moto se non sei un vero pilota rimani nell’ambiente come semplice comparsa (vedasi Karel Abraham, tanto per citare un figlio di papà). A sostegno di quanto detto c’è che quest’anno Luca Marini è in testa al campionato mondiale di Moto2, categoria molto selettiva, con buone chance di conquistare l’alloro. Diverso ragionamento invece vale per le auto dove il mezzo tecnico conta all’80%: a tal proposito vedasi Hamilton che è indiscutibilmente un ottimo pilota ma che appare un alieno solo perché dispone di un’autovettura nettamente superiore alla concorrenza. In conclusione a tutta sta accozzaglia di ricordi e considerazioni dico che i soldi non danno la felicità perché raggiunto un livello l’ansia spinge al successivo, ma nella società in cui viviamo possono rappresentare la differenza tra sogno e realtà.
Marcus Joseph Bax