In questi giorni le società sportive sono all’opera per la consegna dei kit gioco ai neo iscritti e per gestirne la restituzione da parte di chi smette di giocare o cambia società. E gli addetti alla segreteria ed al magazzino ne vedono purtroppo, di tutti i colori… Borsoni restituiti sporchi, tagliati, alcuni ancora pieni di sabbia dei campi di gioco o addirittura con all’interno ciabatte e parastinchi. E ancora: indumenti non lavati, gettati alla rinfusa e immondizia “dimenticata” all’interno del borsone. Non si pretende la restituzione di abbigliamento e materiale “come nuovo”,  si comprende l’usura dovuta all’utilizzo, ma almeno la maglia lavata e il borsone svuotato da immondizia e da altri indumenti personali e magari non (volutamente) tagliato e distrutto. Bhe  questo sì, ce lo si aspetta.
Parliamo di società sportive che talvolta arrancano, per mancanza di sponsor da un lato e per il continuo aumento di costi dall’altro, e che per contenere le rette prevedono la sostituzione dell’abbigliamento divenuto piccolo con l’acquisto da parte dei genitori di abbigliamento nuovo limitato al necessario, oppure che sono costrette ad adottare il sistema del “cambio taglia” (la restituzione dell’abbigliamento divenuto piccolo con altro usato e di taglia superiore). Modalità che consentono di non aggravare i costi per le famiglie.
Parliamo di società sportive che svolgono ancora, fortunatamente e soprattutto, una funzione sociale e che spesso, sempre con l’intento di ridurre  i costi alle famiglie, non chiedono nemmeno una cauzione. La domanda è: succede solo nelle società che chiedono una retta contenuta o anche in quelle dove la famiglia paga silenziosamente 500/600 euro all’anno per fare giocare a calcio il proprio figlio? Forse non si tratta nemmeno di una questione economica,  ma di una mancanza di valori, in particolare di rispetto. Rispetto non solo verso le cose ma anche  verso le persone, perchè dietro una società sportiva ci sono numerose  (a volte nemmeno molto numerose…) persone che in modo volontario, quindi gratuito, lavorano tutto l’anno, sabato e domenica compresi, affinché i ragazzi possano giocare a calcio.
L’aspetto più spiacevole e preoccupante, visto che si parla di settori giovanili, è che questa mancanza di rispetto arriva dai genitori, ed è pertanto insita nella famiglia, colei che dovrebbe essere invece la prima impegnata ad educare e crescere uomini e donne responsabili. Da collaboratore di società sportiva auspico che queste righe possano essere spunto di riflessione in chi legge e possano smuovere qualche coscienza. Da genitore, invece, mi vergogno.
Alessandra Mazzoleni