Dico, perché lo penso già da un po’, ma se il mondo che sogniamo dopo tutto questo casino fosse il nostro, quello del pallone? Mi sono sentito così solo e così perso senza il calcio. Ma non era solo la Dea, non erano solo il sorriso del Papu o quello di Muriel che canta a squarciagola bella ciao o quello di Berat che segna e dedica uno dei suoi rarissimi gol a chi ora è nella miseria e sta male male.
Era non sentire più le carezze che mi date a ogni mio top undici, quelle dei miei due Andre, il fantastico capitano del Gorle e il geniale trequartista del Ponte, quelle dei miei difensori centrali spacca gambe, Cristian e Marco, che forse quest’anno giocheranno insieme a Torre, quelle dei geniacci che la inventano, i miei due Matte, uno a Gandino, l’altro a Sarnico, del mio Cri a Calcinate, del mio Micael a Casazza, del mio Adriano sempre in Blues. Mi mancavano quelle di quelli che la risolvono quando è l’ora, alla fine della fiera, come Fra, da oggi alla Real Calepina, come Fabri, eroe l’anno passato di un brutto Atletico Chiuduno Grumellese, o quelle di re Giorgio, selfie e pizza offerta a fine gara al giovane terzino per tirarlo su un po’ visto che contro di lui non l’ha vista mai, oppure dei miei mister, Igor, Albi e Fede, che se l’è vista brutta brutta, o dei miei ds, Giorgio e Gigi, o dei miei pres, Albi, Cla, Filippo, Marziale, Carmelo e Olivo.
Stavo male, tra lutti e solitudine, mi sono sentito abbandonato come da bimbetto quando mia mamma e mio babbo andavano ogni sera a organizzare la loro rivoluzione. E questa bellissima gente, la mia, mi è venuta tutta incontro, senza manco che io glielo chiedessi. E ho riscoperto il nostro pallone, ma davvero tutto, chi lo gioca, chi lo inventa, chi lo racconta. Ed è molto più avanti del resto dell’Italia. Ha la passione, il senso del sacrificio, la sensibilità, l’allegria, l’ironia, l’umiltà, la dolcezza, la comprensione, il senso di appartenenza, l’idea che vivere sia fare gruppo, aiutandosi, distribuendosi in ugual misura grandezze e miserie, qualità immense che vorrei avesse il mio Paese.
Il nostro calcio, quello bergamasco, non ha il razzismo, non esistono abusi di potere in una rosa, conta solo chi ci crede, chi si allena e chi la mette. In più ha donne meravigliose, felici e competenti, perennemente in tribuna. Ieri mi ha intervistato Claudio, direttore di Sprint & Sport, un altro di noi, oggi in redazione c’erano Monica, Marco e Michael, tre incredibili appassionati, Nik, Normanno e Daniele hanno mandato una serie di pezzi sulle neopromosse, Giacomo, Fabri, Simo e Mattia hanno lavorato sull’ultimo trionfo della Dea. Ho visto Flavio e Raul, per caso, due splendidi calciatori che giocano con me a Orio e sono stati carinissimi. Ognuno di noi vive felice, accanto al pallone, sognando che riparta.
Perdonateci se come giornale non vogliamo haters tra i coglioni, ma stiamo vivendo un sogno. Si chiama pallone e non svegliateci perché è il meglio che c’è oggi nel nostro Paese. E qui e ora è la nostra speranza.
Matteo Bonfanti
Ps – Mentre scrivo ho appena ricevuto questa notizia, il mio Cla ha preso bomber Dodaji dal Villongo. L’anno prossimo giocherà nel Casazza