Cercando di dimostrare la totale mancanza di capacità di contestualizzazione e di prospettiva storico – sociale – economica dell’ideologia del “politicamente corretto” mi sono fatta alcune riflessioni che, in parte, trascendono tal questione.
Quella che più mi ha “sfarfugliato” la mente e dalla quale non riesco a distrarmi da ore è quella che si basa sul principio secondo cui le persone dovrebbero “imparare a cibarsi” di alimenti alternativi alla carne per rispetto e tutela degli animali.
In particolar modo, potrebbe nutrirsi di alcuni alimenti il cui consumo verrebbe definito facilmente come “equo e solidale” poiché in grado di sostenere le popolazioni più povere del pianeta, dalle quali questi cibi verrebbero acquistati mediante speciali clausole di salvaguardia Internazionale.
Intendiamoci: chi parla è persona che ama il mondo animale al punto di salvare un’ape travolta da un acquazzone o assumere carne massimo due volte al mese perché eticamente in netto contrasto con l’idea degli allevamenti intensivi.
Chi parla è pure una persona da anni impegnata nel sociale e che per prima comprende la necessità di un serio e sistematico sostegno ai popoli in difficoltà.
È, però, innegabile la necessità di quella sana contestualizzazione a cui accennavo poco sopra o, almeno, ad una consapevolezza che si basi su dati reali.
Un esempio….
Quando nel 2013 l’ONU ha lanciato l’anno internazionale della Quinoa probabilmente- e superficialmente- non ha considerato i rischi connessi alla massiccia pubblicità conferita a quella pianta.
Alternativa alla carne prima di tutto, ma pure alimento dal buon sapore, privo di glutine e decisamente utile in caso di diete.
In poco tempo la Quinoa è diventata il cibo degli “occidentali corretti”, dei vegani e dei vegetariani in primis o, almeno, di chi tra questi se la poteva permettere; il principio era buono: si dimezza la mattanza delle povere bestie e si aiutano i peruviani che di certo non vivono nel benessere, però c’era un rischio dietro l’angolo e nessuno se ne era incredibilmente accorto!
La quinoa era (è?) il cibo degli autoctoni: ideale per compensare l’assenza di disponibilità economica necessaria all’acquisto di altro cibo, o di medicine e di integratori.
Veniva coltivata prevalentemente sui pendii poiché le pianure erano utilizzate per l’allevamento dei lama e degli alpaca, i cui escrementi venivano sfruttati come concime naturale per le coltivazioni .
Quando, però, l’aumento della “richiesta” della pianta ha assunto livelli esponenziali “qualcosa” è cambiato: il suo costo è sensibilmente aumentato data la forte domanda (per poi calare improvvisamente e sensibilmente), gli autoctoni hanno deciso di cimentarsi nella sua coltivazione anche estemporanea, spesso, abbandonando l’allevamento di lama e alpaca – attività storica di quelle popolazioni -; invece che continuare a cibarsene, i peruviani hanno ritenuto più conveniente nutrirsi con i gustosi ed economici panini Mc Donald’s e vendere la pianta ai terzi benestanti. Conseguenze: alimentazione del popolo peruviano carente di ogni valore nutritivo, sfruttamento ininterrotto di ogni terreno per la coltivazione della quinoa con conseguente impoverimento dello stesso e depauperamento dei principi nutritivi dell’alimento, cessazione quasi totale dell’allevamento dei camelidi e utilizzo di alternativi concimi chimici in grandi e pericolose quantità per la quinoa stessa oltre che per la fauna locale.
Si stima che la popolazione di condor del territorio sia prossima all’estinzione!
Insomma: una vera ecatombe ecologica e sociale.
Sono partita dal “politicamente corretto”, che altro non è che una forma di dogmatismo per giungere ad un dogmatismo “alimentare”: eppure è così importante comprendere che ogni decisione contempla sempre l’obiettivo sperato e quello opposto. Serve lungimiranza e, sicuramente, sempre un pizzico di umiltà e consapevolezza.
Poi – come scriveva Agatha Christie – “solo perché un problema non è stato ancora risolto, non significa che sia impossibile da risolvere”… però iniziamo a riflettere. Buon tutto a voi.
Vanessa Vane Bonaiti