C’è questo bambino piccolo piccolo, riccio e moro, che sta sul balcone sopra la nostra redazione. E’ sempre preso dalle sue macchinine, la sua vocina in sottofondo inventa mille gare di Formula Uno, Due, Tre, Quattro e Cinque.
Ora io questa settimana ho avuto quattro giorni difficili, niente di drammatico, solo un tempo complicato, di carte da decifrare e da districare. Tra i tanti che mi hanno dato infinite lezioni su come dovrà diventare la mia vita, sento che la via me l’abbia indicata proprio il bimbetto sul terrazzo.
Esco a fumare, lo faccio più o meno una volta all’ora. Mi metto sul pratino, lui dall’alto mi chiama e mi sorride. E’ nuovo del mondo, ha pensieri appena nati, ha l’infinita dolcezza di chi non ha ancora conosciuto le normali delusioni che capitano nel mestiere di vivere. Ha quella sicurezza, che nessuno sia qui per fargli del male.
Così, nelle mie pause sigaretta, ci incontriamo tra gli sguardi. Prima di raccontarmi chi sta vincendo questa mattina tra la Ferrari e la McLaren, con le sue frasi fresche e zoppicanti mi fa sempre le stesse due domande: “Ciao, Matteo, come stai? Tutto bene?”. In quel momento i miei occhi azzurri finiscono nei suoi, neri neri, e ci guardiamo felici.
E io, che sono nato quasi mezzo secolo fa, ma scopro spesso di non sapere nulla, ogni volta mi accorgo che quello che voglio e che vorrei dare alla mia gente me lo sta insegnando lui che ha appena quattro anni. E’ racchiuso nella sua bellissima frase d’esordio, in quella speranza, che io mi trovi in un attimo meraviglioso del mio viaggio, che c’è quando s’incontra un sorriso.
Matteo Bonfanti