Il calcio dà, il calcio toglie. E nessuno può sfuggire da questa considerazione, nemmeno la “Vecchia Signora” del nostro pallone, alle prese con il ventesimo anniversario di una delle giornate più nere della propria storia. Era il 14 maggio 2000 e i bianconeri di Carlo Ancelotti si fecero soffiare il titolo, all’ultimo respiro, dalla Lazio del presidente Cragnotti, dell’allenatore svedese Sven Goran Eriksson, ma anche, se non soprattutto, della finanza creativa.

Nell’anno del Giubileo, che impone in qualche modo particolare enfasi su tutto quel che accade nella Capitale, i discorsi tecnici passano per lo strapotere delle “Sette Sorelle”, strabordanti anche al di fuori delle competizioni nazionali, ma a tenere banco sono le baruffe pressoché costanti. Nel mirino, in particolare modo, i favori (o sfavori) arbitrali, tanto più se rapportati al clamoroso caso, scoppiato nel Natale 1999, dei Rolex con cui l’allora presidente della Roma, Franco Sensi, omaggiò le giacchette (non più) nere. Mentre sul terreno di gioco Lazio e Juventus mettono da subito le cose in chiaro, prendendo il largo rispetto a Roma, Inter e Milan, la lamentela è pressoché generale, ma trova un primo evidente suggello con un episodio occorso alla nona giornata e recentemente tornato alla ribalta, in concomitanza con la dipartita di uno dei protagonisti più efferati. Di fronte Perugia e Bari, o se vogliamo Luciano Gaucci e Vincenzo Matarrese, fratello dell’ex presidente della FIGC Antonio. Il perugino Olive è finito all’ospedale dopo uno scontro di gioco e il mancato intervento arbitrale manda su tutte le furie Gaucci, che fa partire il suo personalissimo show in uno dei più memorabili dopogara del calcio italiano. Matarrese ribatte provocatoriamente: “Noi siamo da Serie A”. E la reazione del vulcanico numero uno degli umbri, scomparso lo scorso primo febbraio, non si fa attendere: “Sei un figlio di mign****, te e tuo fratello”. A stretto giro, Tombolini fa il bello e il cattivo tempo in Juve-Inter del tredicesimo turno, mentre il capitano giallorosso Francesco Totti parla apertamente di “arbitraggio scandaloso”, in merito alla conduzione assunta da Treossi in Parma-Roma. Il presidente Sensi invelenisce l’aria malignando sui cartellini gialli piovuti sui romanisti la settimana antecedente allo scontro diretto col Milan, ma Adriano Galliani non ci sta e risponde per le rime. La vicenda dei Rolex, regalati dal club di Sensi alla coppia di designatori, Pairetto e Bergamo, oltre che ad arbitri e guardalinee, vale  da apoteosi delle polemiche, mentre il più affermato, e apprezzato, dei fischietti italiani, Pierluigi Collina, viene sospeso per aver giocato una partita di beneficienza al fianco dell’allora allenatore dell’Inter, Marcello Lippi.

Le dita stropicciate dinanzi all’arbitro Farina, a indicare la grana guadagnata con il ladrocinio, costano all’azzurro Dino Baggio lo stop dalle convocazioni, ma è tutto un fiorire di mugugni ed espressioni più o meno colorite. E se a calarsi in trincea è il direttore più controverso e dibattuto di quegli anni, lo juventino Luciano Moggi, si passa ufficialmente dalla guerra-lampo alla guerra totale. In una stagione che, a dispetto dei propositi morigerati, dei pellegrinaggi consumati a Roma e in Vaticano e delle indulgenze plenarie, si riempie settimana dopo settimana di veleni e colpi bassi, si arriva al gran finale sulla stessa lunghezza d’onda. Penultima giornata, la Juve capolista, forte di due lunghezze di vantaggio sulla Lazio, ospita il Parma. Bianconeri avanti grazie a Del Piero; nel finale il parmense Cannavaro insacca di testa su azione d’angolo il pari, ma l’arbitro De Santis annulla senza apparente logica. Si parlerà di “Fallo di confusione”, ma quando le immagini televisive arrivano a sbugiardare il tentativo di discolpa formulato dallo stesso De Santis agli organi di stampa – alla faccia del riserbo arbitrale – evidenziando come il fischio sia occorso quando la palla, già colpita di testa da Cannavaro, stava scivolando in rete, scoppia il finimondo. In particolare, mentre Sergio Cragnotti sentenzia che quello che va concludendosi è un “campionato senza lealtà sportiva”, i tifosi laziali prima danno vita a violente proteste davanti alla Federazione, poi arrivano a inscenare un corteo funebre nel giorno dell’ultima e decisiva domenica di campionato. “Il 7 maggio è morto definitivamente il tanto osannato calcio italiano… I funerali avranno luogo domenica (14 maggio, n.d.r.) in via Allegri. Seguirà corteo funebre allo Stadio Olimpico” – recitano i manifesti listati a lutto. E si parla pure di una bara da portare in curva, con tanto di striscione, e di crisantemi, tanto da restare in tema di commiato, mentre sul campo si consuma l’ultimo decisivo atto del torneo. Incredibili i corsi e ricorsi del pallone nostrano.

L’anno prima il “Renato Curi” di Perugia aveva ospitato la gara-scudetto del Milan, targato Alberto Zaccheroni. Ora tocca alla Juventus recare visita agli umbri e, da par suo, il presidente Gaucci alza il tiro, a dispetto della salvezza già in saccoccia. Presentandosi il venerdì, all’allenamento dell’antivigilia, minaccia la squadra di ritiro fino al 30 giugno, laddove dovesse maturare una sconfitta. Questione di risultati e regolare svolgimento dei campionati – lui sentenzia – ma a qualcuno non sfugge che Gaucci mantiene solidi rapporti, in primis lavorativi, con Cesare Geronzi del gruppo bancario Capitalia, in quegli anni ben più di un solido appoggio finanziario per le squadre romane. A suggellare il pomeriggio da tregenda del 14 maggio il violento temporale abbattutosi sul “Renato Curi”, a dispetto del solleone che saluta il facile successo degli uomini di Eriksson sulla Reggina. All’Olimpico, decidono Simone Inzaghi, attuale allenatore dei biancocelesti, e i sigilli di due argentini di successo come Sebastian Veron e Diego Pablo Simeone. A Perugia ecco la sospensione; poi, dopo ottantasei interminabili minuti di attesa, la ripresa del gioco, nonostante i tentativi del capitano bianconero, Antonio Conte, oggi tecnico dell’Inter, atti a rinviare le ostilità. Al rientro in campo, il centralone umbro Calori segna con un preciso rasoterra che condanna l’olandese Van Der Saar. A nulla vale l’assalto finale della “Vecchia Signora”, imperniata su un tridente – Zidane in appoggio a Del Piero e Filippo Inzaghi – che dopo tante prodezze si concede una pausa nel giorno più malaugurato.  La Lazio vince il suo secondo Scudetto della storia, mentre Luciano Moggi commenta con parole sibilline: “Adesso che la Juve ha perso lo scudetto tutti saranno contenti. Nessuno avrà più da ridire su questo campionato. Complimenti, hanno ottenuto quello che volevano”. Il suggello perfetto, per una stagione trascorsa seminando vento e raccogliendo tempesta. Non soltanto in senso meteorologico.

Nikolas Semperboni