“E dopo la pandemia e il dolore che ci ha toccato tutti, ora il rischio è la miseria, qualcosa di altrettanto drammatico. Servono interventi coraggiosi da parte del nostro governo. Mai come ora ci vorrebbero altri statisti. Penso a Craxi, a Moro, a Berlinguer, persone preparate e con i coglioni, capaci anche di lavorare gomito a gomito per l’interesse nazionale”.
Non le manda certo a dire alla nostra impaurita e claudicante classe politica Paolo Agnelli, uno degli imprenditori bergamaschi tra i più conosciuti in Italia, a capo di un impero legato all’alluminio, che serve a fare le sue pentole, conosciute e amate in tutto il mondo, usate persino dagli chef a New York.
Presidente di Confimi, la Confederazione dell’Industria Manifatturiera in Italia e dell’Impresa Privata, che rappresenta circa quarantamila imprese, con 580mila dipendenti e oltre 70 miliardi di euro del fatturato annuo italiano, Paolo è anche il mio primo editore, il motivo del mio trasferimento a Bergamo. Ci conosciamo da due decenni, tra di noi le parole sono semplici e schiette. “L’idea che ha avuto il governo per far ripartire l’economia è quella di indebitare ulteriormente le aziende. E’ la famosa manovra dei 400 miliardi di euro. Ma non è un aiuto diretto a chi per due mesi si è fermato. Questi soldi, in realtà, non ci sono. Ci sono 400 milioni versati dal governo alle banche come garanzia dei prestiti che faranno le imprese. Cosa significa? Che resta tutto identico a prima, perché gli istituti bancari non vogliono rischiare, quindi non finanziano gli imprenditori, o meglio, finanziano solo quelli che possono dar loro ampie garanzie. Chi è in difficoltà, e credetemi sono tantissimi, in questo modo non ne esce più”.
Parlaci della famosa spada di Damocle… “Sul finanziamento bancario alle imprese, che è il nodo di questo periodo, c’è anche un altro aspetto che limita l’eventuale ripresa che tutti auspichiamo. Il governo ha messo dei paletti nell’erogazione dei prestiti. Cerco di semplificare. L’idea è quella di concederti il mutuo, ma solo a condizione che tu confermi tutto il tuo personale. Come principio astratto può essere anche giusto, in realtà, senza un minimo di mobilità, le aziende rischiano di saltare per aria”.
Cosa si deve fare? “Intanto chi ci governa deve ascoltare chi dà il lavoro, ossia gli imprenditori, e chi lavora, ossia i dipendenti. Confrontarsi quotidianamente con i loro rappresentanti per capire cosa fare. Invece cos’è successo? Hanno fatto questa task force, l’hanno messa in mano a Colao, per carità un ottimo manager, ma che non è mai stato a capo di un’azienda, rischiando in proprio. Con lui, professori universitari di ogni disciplina. Manca la voce di chi è in campo, coi problemi quotidiani. E poi, mi ricollego a quanto detto prima sui grandi statisti che ha avuto in passato il nostro Paese: abbiamo una classe politica che è totalmente impreparata a qualsiasi emergenza. Non ha conoscenze precise in alcun ambito. Craxi, ad esempio, al netto delle sue vicende giudiziarie, che chiarirà la storia, era un uomo serio che sapeva prendere decisioni forti perché aveva immense competenze personali dal punto di vista economico. L’impreparazione dei nostri attuali rappresentanti li porta a cercare consulenti, che cercano altri consulenti, così, via via, in una lunghissima catena. E le decisioni non vengono mai prese. Le rare volte che si prende una via, non è mai netta. Mai decisa. Arriva sempre il consulente di turno, che solleva dei problemi, e si riparte da capo, come nel gioco dell’oca, immobilizzando l’Italia”.
Burocrazia al massimo livello, che paralizza l’intero Paese. Ma dal punto di vista prettamente economico, qual è il consiglio al governo Conte? “Partiamo dai dati che abbiamo, che ci dicono che chiudono 250 attività al giorno, ossia siamo in un momento difficilissimo, decisivo per l’economia nazionale. Il governo sta prendendo misure come se l’Italia si trovasse in uno stato di emergenza, quindi, sostanzialmente, con un nuovo indebitamento verso le banche da parte degli imprenditori e la cassa integrazione in deroga per i lavoratori, sempre che questi soldi arrivino. Ma la situazione, come già detto, è diversa. Non siamo la Germania, ma l’Italia, che, già prima di questo tsunami, aveva problematicità strutturali. Ora serve dichiarare una sorta di stato di crisi”.
Cosa comporterebbe? “Intanto accedere ai fondi europei, che stanno prendendo gli altri Paesi della nostra area. Con questi soldi bisogna rifinanziare le attività, ma a fondo perduto, non con dei prestiti. Il sistema per farlo è semplice, lo Stato deve guardare al fatturato dello stesso periodo dell’anno scorso. Quelli sono gli euro che servono alla ripresa delle attività. Invece hanno dato soldi anche a puttane e malfattori, parlo dei 250 euro in buoni spesa, mentre la cassa integrazione l’hanno presa in pochissimi e ai titolari propongono altri debiti bancari. Serve cambiare rotta, altrimenti sarà un disastro. Ma non solo per noi, per tutta l’Europa, Germania compresa… Pensiamo al loro settore automobilistico, dove andrebbe l’economia tedesca senza le aziende delle nostre valli che gli fanno la componentistica a prezzi ultra vantaggiosi?”.
Capitolo tempo libero. Partiamo dal turismo. “Anche qui il settore va tutelato nel profondo, con lo schema raccontato prima. I turisti torneranno, ma le strutture devono resistere a tempi che si preannunciano magrissimi. La speranza è di una ripresa intorno a ottobre e novembre. Fino ad allora dovrà essere lo Stato a continuare a mantenere in vita chi lavora nelle strutture ricevittive. Bar e ristoranti, che stanno perdendo il cinquanta per cento netto dei loro introiti, fanno parte di questo segmento, importantissimo per la nostra economia”.
In ultimo, non certo per importanza, soprattutto per noi di Bergamo & Sport, il calcio, la pallavolo e il basket, i famosi sport di gruppo, stritolati in questo maledetto casino legato a questa terribile pandemia. “Come Agnelli Olimpia, la nostra squadra di volley, in Serie A2 maschile, prevediamo di perdere il 30 per cento delle sponsorizzazioni. Immagino il pallone dei dilettanti. Anche qui, credo, c’è il rischio di vedere scomparire tanti club, fondamentali per il tessuto sociale della Bergamasca”.
L’idea? “Quella di prima, un nuovo patto tra tutte le parti. Anche all’interno dello stesso settore. Ci vorranno aiuti da parte dello Stato, ma pure una nuova distribuzione economica. Penso al calcio: la Serie A dovrà ripensare certi ingaggi, quelli a calciatori che guadagnano dieci milioni di euro annui, versandone parte ai piccoli club, per mantenerli in vita, e, quindi, non lasciare bambini e ragazzi per strada”.
Salutiamo Paolo facendoci un po’ i fatti suoi: come hai passato questi due mesi a casa? “Lavorando come un matto… Sempre al telefono con i miei dipendenti. Un conto è trovarsi in azienda, tutti intorno a un tavolo, un altro è stare a parlarsi al cellulare, ognuno dalla propria abitazione. Lo sapete tutti, è un gran casino…”.
Matteo Bonfanti