Bella Ciao è la mia mamma, riccia e rossa, da ragazza. Si asciuga le lacrime, si mette il rimmel, mi dà la mano e partiamo. Un passo dopo l’altro le torna il sorriso e io vorrei che la nostra giornata in piazza non finisse mai.
Penso a lei, lontana lontana, ma mai così accanto tra mille e più ricordi, e vengo a cercare te, tu che sei da sempre il mio giorno migliore, l’unico dove la realtà incontra la mia fantasia. Sei il mio primo viaggio via da casa, a Roma, col pullman dei sindacati, abbracciato stretto stretto al mio grande amore. Sei la primavera, il cielo azzurro e le bandiere arcobaleno. Sei un sacco di amici da incontrare, chiacchierando fino a sera perché ci sei tu e io non devo lavorare. Sei il prato di margherite dove dormono i miei figli, Vinicio e Zeno, piccoli piccoli, mentre la musica gli gira tutta intorno. Sei il partigiano grande, grosso e buono, a scuola per raccontarci la sua storia. Sei mio babbo, la sola volta che l’ho visto piangere, quando suo padre se ne è andato: “Matti, è morto il nonno Riccardo. Era una brava persona. Ci mancherà”.
Ti vengo a cercare perché sei le mie radici, come nella canzone, ma pure quello che vorrei per me e per i miei ragazzi, nella speranza che domani sarai tu, anche se nessuno di noi potrà celebrarti come si deve. Io ci proverò, nel mio piccolo, dal balcone, perché mai come ora sento addosso la tua parola, qui, a Bergamo, tra la mia gente che resiste nonostante questa terribile malattia e le tantissime ingiustizie.
Con la chitarra mi metterò a suonare Bella Ciao, pensando a chi ci ha lasciato, a chi s’è perduto, a chi sta male perché è chiuso in casa, a chi adesso non ha manco da mangiare. E tra quelle note ti chiederò di arrivare, non una volta all’anno, il 25 aprile, ma sempre, in un’Italia libera e liberata da ogni sua miseria.
Matteo Bonfanti
Nella foto io e mia mamma, Valeria, in una manifestazione di tantissimi anni fa