2706 attività messe in ginocchio dall’emergenza coronavirus. Tanti sono infatti i bar della provincia bergamasca, i cui titolari, oggi, lanciano un grido d’allarme tramite le parole del loro portavoce, Giorgio Beltrami, presidente Ascom della categoria da una decina d’anni, nonché proprietario del bar Centrale di Lovere. Una situazione già di per sé drammatica che, oggi, alla luce del contenuto del nuovo Decreto dei Ministri, va ad aggravarsi ulteriormente e non solo perché la riapertura è stata posticipata al 1° giugno (inizialmente si era parlato del 18 maggio), ma anche e soprattutto per tutte le limitazioni che la stessa comporterà. Il tutto, poi, unito ad una crisi economica che si preannuncia senza eguali. “Se prima della conferenza stampa del premier Conte avevo dichiarato che, secondo me, a causa di questa situazione avrebbe chiuso il 30% delle attività – racconta Beltrami -, oggi sono pronto a scommettere che saranno molte di più. Lo dico con grande amarezza ma con altrettanto realismo perché quella che abbiamo ascoltato è stata una conferenza stampa di aria fritta: 20 minuti di discussione sul nulla, solo parole senza fondamento e niente di concreto. E mentre i politici parlano, noi rischiamo la chiusura. E i nostri dipendenti rischiano di non riuscire più a mantenere le loro famiglie perché, come si sa, spesso i contratti che riguardano la nostra categoria sono a chiamata, regimi quindi per cui non esiste nessuna forma di tutela economica o ammortizzatore sociale. Non c’è copertura e soprattutto non c’è interesse da parte del Governo a tutelarci. Continuano a dire che il turismo e le strutture di accoglienza come le nostre rappresentano il 15% del Pil del nostro Paese, che il nostro è un comparto trainante, vitale, necessario per l’economia nazionale, ma non è così. Siamo realtà di serie B rispetto ad esempio al manifatturiero e lo dimostrano i fatti. Anche nelle parole del Premier si evince questo: ad oggi nessuno parla di un aiuto reale e concreto. Solo parole, inutili”. Un’analisi lucida e molto amara quella che esce dalle parole di Beltrami che, di suo, gestisce il bar con i due figli e ha all’attivo ben 15 dipendenti: “Siamo stanchi, davvero. E molto preoccupati, non solo per l’oggi, ma anche e soprattutto per il domani, perché non sappiamo se ci sarà, un domani. Molte delle nostre realtà erano già state profondamente toccate dalla crisi del 2008 e da quella del 2011, si trovavano già in una situazione di grande difficoltà. Ecco, credo che, considerati gli effetti dell’epidemia e l’immobilismo della politica, molti chiuderanno”. Le sue parole sono taglienti, ma al tempo stesso cariche di un misto di delusione e rabbia: “Guardi, firmerei per fare, quest’anno, il 40% del fatturato dello scorso anno. E lo dico io che ho un’attività che, fortunatamente, lavora bene. Si figuri chi era già in crisi. E pensi che, dall’ultimo studio dell’Inail è risultato che la nostra è una di quelle categorie in cui il rischio di contagio è tra i più bassi. Assurdo. Nonostante questo ci impongono il plexiglass a separare la gente seduta al tavolo, le misure di sicurezza, il distanziamento e tutta una serie di regole che non faranno altro che disincentivare la gente ad andare al bar e ci dimezzeranno il fatturato. Per quanto mi riguarda, ho già calcolato che dovrò dimezzare il numero dei tavoli e non ci penso neanche a mettere un divisorio tra i clienti. E’ contro la natura del bar, contro la sua funzione sociale, contro lo spirito con il quale la gente entra e si gusta un caffè o qualunque altra cosa perché ha voglia di stare in mezzo agli altri. Se non fosse così, ciascuno andrebbe a comprarsi una birra al supermercato, la pagherebbe oltretutto meno, per bersela seduto sul suo divano di casa. Guardi, mi manca già tutto quello che è per me il bar, che rappresenta nell’immaginario di tutti, i suoi profumi e i suoi colori”. Per Beltrami la soluzione è solo una: “Lo Stato dovrebbe garantire un supporto a fondo perduto, è l’unica via per permetterci di sopravvivere, sperando poi in momenti migliori. Non farci imbarcare in prestiti come quelli di 25000 euro che in teoria sono garantiti al 100% dallo Stato ma che poi le banche, comunque ti rifiutano. Non devono spingerci ad indebitarci nuovamente. Devono solo intervenire in maniera concreta e devono farlo ora. Adesso. Subito. Non domani, perché farlo domani, per noi, potrebbe essere troppo tardi e ci porterebbe solo a vivere di rimpianti o di ricordi”.
M.P.
lunedì 27 Aprile 2020