Dice, mentre le racconto che per me il casino qui e ora, dico a Bergamo, nella Bergamasca, a Brescia e in Lombardia, è solo colpa di una classe politica discretamente fuori di testa: “Fai tanto il professore, ma poi avrei voluto vedere te cosa avresti fatto in sto casino. Gli è scoppiato in mano, qualsiasi provvedimento l’avremmo preso tutti come una cazzata, perché comunque sarebbe morta un sacco di gente. L’hanno tentata, hanno fatto il loro meglio. Piantala di menargliela, guarda in Spagna o in Francia, è lo stesso”.
E io ci penso, prima nei panni di Conte, che a me fa arrabbiare, ma mediamente, non da rifilargli una serie di testate se lo incontro, non quanto i suoi colleghi, a cui comunque non metterei mai le mani addosso, altri avvocati-politici, ma che si sono buttati sulla lucrosa amministrazione della nostra regione. Resta che anche Giuseppe mi mette in testa e sulla pelle una bella rogna, che ieri sera me l’ha detto pure mio figlio Zeno mentre guardavamo il telegiornale, “di sto coronavirus il problema vero sei tu, babbo, li vedi e hai quella mezzoretta da incazzato nero, da papà intrattabile”.
Bene, intanto io non avrei limitato i diritti civili, che pure io, che sono il più pirla che conosco, se me l’avessero detto, dolcemente come avrebbero dovuto, dicendomi “comunque noi dello Stato ti vogliamo bene e ti ringraziamo che sono vent’anni che ci versi le tasse”, oppure da stronzi come fanno, “c’è troppa gente in giro, non va bene”, avrei continuato la mia vita stando attento, a cinque metri da tutti, con la mia mascherina. Sarei andato a trovare mio babbo o mia mamma, distante, che tanto di spazio in Italia ce n’è ed è tanto (ho fatto il calcolo). Oppure sarei andato a correre in montagna, in Val Seriana, da Bondo Petello verso Amora, solo soletto, o, ancora, a vedere il mio fiume, quello dove sono cresciuto. Avrei parcheggiato a Brivio, sarei andato a camminare sull’Adda per i cazzi miei, a tirare quattro sassi per fargli fare i salti, che a me è una delle cinque attività della mia esistenza di prima che mi manca di più.
E avrei pagato il disturbo ai miei cittadini, magari mettendoci un po’ dei miei che se fossi il premier, ne avrei tanti tanti (nostri, andate a vedere). Avrei spiegato: “Non potete più abbracciare chi volete, bene allora io vi accredito quindicimila euro sul conto. Datemi l’iban al mio tre”. Che è vero che i soldi non danno la felicità, ma aiutano a ritrovarla, proprio come ha fatto la Merkel, che sarà pure una culona inchiavabile, ma non pensa, come Giuseppino, che l’idea per ramparne fuori sia indebitarci con le banche. Che gli euro, crisi, emergenza o pandemia, i soldi li rivogliono sempre indietro.
Fossi stato Attilio Fontana, ma pure il suo sottoposto, l’ormai confuso e infelice Giulio Gallera, o il nostro sindaco, Giorgio Gori, intanto mi sarei informato. Avrei chiamato in Cina, una lunga telefonata collettiva a Wuhan il 31 dicembre.
Lo sapevo io, che non è che sia una volpe, dal tre al quattro in ogni compito di matematica al Liceo, com’è che quei tre, che la fanno fuori da genietti, non sapevano una beata minchia? A gennaio il mio collega Neri, Marco di nome, tra l’altro un bel ragazzo, è tornato da una vacanza nella Repubblica Popolare. Non conoscono il mandarino? Potevano fare un colpo a lui, era in redazione con me e sapeva un botto di roba e mentre Giorgione ci invitava all’aperitivo, Marco ci aveva già avvisato che bisognava fare le cose bene bene per evitare una strage. A riprova che la domenica Spaterna e Grossi venivano a lavorare in redazione con la mascherina.
Dice lei, dice lui, insomma chi legge i miei articoli, ma appartiene a un partito, di destra o di sinistra, “ma adesso puntare il dito è facile”. Ok, ok, ma non è che sia così vero, intanto c’è il Veneto, poi l’Emilia, che hanno ben altri dati perché hanno un altro tipo di politici. E poi è un mese che noi giornalisti invochiamo la zona rossa, la verità su Alzano, i tamponi, la mappatura del contagio, gli aiuti a chi non sta lavorando, agli sfrattati, la verità soprattutto sui decessi e sulle salme. Su questo c’è un racconto ascoltato ieri, la ricerca del corpo di una signora, ovviamente morta in una casa di riposo, che i parenti stanno cercando da tre giorni, qualcosa che li sta mettendo a dura prova in un momento già di immenso dolore.
La smetto, perché c’è un limite e poi più scrivo più mi sale la rabbia e sono cazzi amari per mio figlio Zeno. Ma con un’ultima considerazione, io, che l’ho già detto sono solo un misero e miserrimo giornalista sportivo, manco dei più bravi, so che avrei fatto meglio, evitando un sacco di dolore. E pure i miei amici, quelli del calcio, gli altri della musica, i miei parenti, se qualcuno di loro fosse stato al comando. E nessuno di noi prende dai cinquemila netti ai ventimila euro al mese, interamente versati da noi per fargli garantire la nostra libertà (che siamo agli arresti domiciliari), la nostra salute (che sappiamo come è andata), la scuola dei nostri figli (che non esiste più).
Avrei fatto meglio, avremmo fatto meglio. Faremmo meglio. Perché questa gente, che, proprio come me, non sa una beata mazza di medicina o di virus, diversamente da me e dalla mia gente ha pure addosso la sfiga di non avere il minimo buonsenso.
Ps – I contagi qui da noi aumentano, anche oggi
Matteo Bonfanti