Delle due l’una, con qualcuno che sicuramente ci sta mentendo e già questa è una sconfitta per tutti noi italiani. Dice il luminare, che fa il primario in un grande ospedale pubblico e sicuramente non è uno scemo e qualcuno l’avrà pure messo lì, “avanti tutta con tutto, tanto è solo un’influenza un attimino più pesante, evitiamo inutili allarmismi”. Eppure io, parlo di me, che dopo anni e anni passati a raccontare il calcio provinciale e i suoi eroi, a vivermela ogni sera nei peggiori bar di una Bergamo identica a Caracas, a fare e disfare per trovarne le parole, sempre nella totale allegria dei giorni, sto cambiando nel profondo. Sono tornato a fare il giornalista di cronaca, dopo secoli guardo e ascolto, chiamo chi sta in alto, osservo chi sta in basso, i tanti che hanno già dei morti addosso, poi vedo dove sono anch’io e tiro la famosa riga e qualcosa non mi torna.
C’è che per la prima volta i miei figli, Vinicio e Zeno, tredici e undici anni, non vanno a scuola, ma manco a fare sport e pure l’oratorio è chiuso e loro due sono lì, completamente soli, con l’unico riparo della loro mamma, che comunque deve lavorare e fa i salti mortali per migliorargliela, perché i loro giorni non si limitino alla battaglia reale di Fortnite, ma siano pure incontri e passeggiate nella natura. E sono confusi, magari pure felici che studiare Foscolo, Carducci e il Manzoni a volte è una sfiga di quelle rare, ma stanno vivendo questa cosa surreale che per loro e i loro compagni è sempre sabato sera e a nessuno di noi era successo mai e i nostri ragazzi ci fanno domande impossibili, quesiti a cui noi genitori non sappiamo rispondere proprio per quello che dicevo all’inizio, che qualcuno non ci sta dicendo la verità sulla gravità di questa malattia.
E poi ci sono io, dico io io, che da dieci e passa anni faccio il direttore di questo splendido giornale, meraviglioso perché racconta le gesta degli eroi dei campi di provincia, e che ora non ha più notizie da scrivere. Lo Scanzo dei miracoli, il Ponte di sua santità Pedrocchi, il magico Verdellino Zingonia di mister Luzzana, la Cisanese mai doma, il Villongo dei baby fenomeni, l’Aurora Seriate champagne, l’immenso Sovere, non giocano e neppure si possono allenare più e se mi lascio andare e scrivo che mi mancano da morire, i lettori mi rispondono: “Pensa al coronavirus, il calcio in questi tempi non è così importante”. E non mi era accaduto mai.
E sono solo oggi pomeriggio in redazione, che il ministero ci ha vivamente consigliato di fare così, di consegnarci al telelavoro, mai stare insieme per evitare contagi, e pure sta cosa qui, quella di trovarmi alle due del pomeriggio senza Marco, senza Monica e senza Carmelo, a me non è successa mai. E non sono tre cretini ipocondriaci, tutt’altro, che siamo ancora qui dopo più di un decennio con chi ci diceva saremmo durati un mese, insomma è gente che s’informa in mille modi, e ora sono a casa per non vederci tutti insieme e io alle quattro andrò via e loro arriveranno, a turni, per non farci del male.
E lunedì torniamo a uscire in edicola, e lo facciamo con poca Atalanta, perché in Serie A hanno deciso di andare avanti, ma senza tifosi, che in questo momento a Bergamo è come raccontare un concerto di Vasco a San Siro, ma tralasciando le righe dedicate alle emozioni che dà l’immensa platea che canta Albachiara, un’altra cosa assurda, il pallone in uno stadio vuoto, uno spettacolo che mette tristezza, perché è senza la metà che conta di più. E dell’ansia di quelli al supermercato con la mascherina ho già parlato, che mi pare di essere finito dentro a uno dei romanzi più belli del Novecento, Cecità, che leggerlo è un conto, una favola, viverlo invece mi dà il terrore. E ho detto anche dei bar vuoti, il mio, il Blupuro, chiuso ormai da giorni.
E c’è pure mia mamma, che continua a chiamarmi, le hanno detto che deve starsene a casa, e lei, che ha il pregio e la sicurezza della libertà fin da quando è nata, in tutta la sua vita non l’ha fatto mai e allora si mette al telefono perché si sente sola e non mi sembra lei, che di solito sono io che la cerco nel mondo, sorridendo, sapendo benissimo che la troverò se mi va bene bene giusto tra tre giorni.
E allora unisco i puntini e non voglio fare inutili allarmismi, ma tutte queste cose che succedono per la prima volta mi fanno capire che “non è solo poco più di un’influenza”, ma un gran casino e penso che è venuto il momento di prendere scelte forti dicendoci la verità, anche raccontandoci chi ora sta morendo di polmonite, che per quanto possa farci rimanere spaventati e in silenzio, sarà meglio delle bugie in serie che stiamo sentendo da parte dei medici, quelli del “basta stare a un metro e ottanta centimetri di distanza gli uni dagli altri, continuando a lavarsi le mani”, e dalla gran parte di chi ci rappresenta a ogni livello.
Matteo Bonfanti
Nella foto dell’amico Giulio Panza un’incredibile immagine di Bergamo oggi alle 14 e 52