Ti ho abbracciato, mi hai stretto, ti ho chiesto “vieni con me?” e mi hai seguito dentro il mio lago, padre e figlio, mani e piedi, uguali a due fenicotteri felici quando se ne stanno a cento metri dal mondo sentendone comunque l’immenso calore. In lontananza il tormentone dell’estate, che canticchiavi, come sempre nel tuo modo ironico e spigoloso, per nascondere il tuo cuore così dolce, sensibile, che se ci penso, per me è tale quale a un soffio di vento. Allora ti ho baciato, strizzandoti un po’ i fianchi come facevo quando eri pistolino, e per la prima volta avevi sulle guance il profumo dell’adolescenza, intenso e bellissimo, l’aria fresca intorno a te, la primavera che sei ora anche in una torrida notte d’estate. E ti sei accorto dei miei pensieri e mi hai guardato negli occhi e io ti ho chiesto il permesso e sono entrato nei tuoi, e in questo tempo che con me hai domande in ogni dove e su ogni cosa, sei rimasto in silenzio. E’ stato un attimo, un momento magico sospeso appena prima di lasciarci con una parola, “papà”, che non mi avevi detto mai, perché fino a ieri io per te ero solo “Matti”. Sono fiero di te, meraviglioso tredicenne, ogni giorno più grande, più forte e più simpatico, e mi sento un uomo fortunato perché di questo ho una piccola parte, minuscola rispetto a quanto fatto da tua madre, ma che c’è ed è destinata a crescere. Grazie a te, tu mio, Vinicino, uno dei miei due capolavori, l’altro è tuo fratello Zeno. Ci aspettano i nostri giorni migliori, ma non ci crederai, del resto è la frase che ti ripeto da quando avevi sei mesi…
Matteo Bonfanti