Fabrizio Carcano
Anche se le responsabilità sono sempre individuali bene ha fatto l’Atalanta, per responsabilità oggettiva, a condannare ogni forza di razzismo verbale e a prendere le distanze dai pochi imbecilli che a Parma avrebbero rivolto espressioni razziste verso Dalbert.
Una presa di posizione netta, che allontana il club e con esso la maggior parte della tifoseria nerazzurra da un episodio su cui ora tocca agli inquirenti, non solo sportivi, fare chiarezza.
E applicare eventualmente le sanzioni previste.
Con la massima severità, senza sconti.
Ma le colpe di pochi singoli isolati non devono ricadere su un’intera tifoseria.
La storia recente del nostro calcio trasuda di episodi di razzismo contro giocatori di colore, dalle banane lanciate in campo ai cori di intere curve.
Passato remoto e passato prossimo.
I casi di Koulibaly o Kean lo scorso anno, quello di Lukaku quest’anno.
Ieri a Parma le cose sono andate diversamente.
A insultare non sono stati spicchi interi di stadio ma eventualmente due o tre idioti.
È doveroso condannare, sempre, e isolare i beceri.
Però è anche giusto distinguere.
Tra diecimila che non insultano con espressioni razziste e due o tre teste vuote che vomitano veleno passa una bella differenza.
Ci sono norme e dispositivi per individuare chi è responsabile di comportamenti incivili o violenti: si applichino.
Si prendano gli incivili e si allontanino dagli spalti.
Senza mettere alla berlina un’intera città o un’intera tifoseria.
Che non ha mai insultato il colore della pelle dell’avversario.
E non lo ho fatto neppure a Parma.
Tanto è vero che neppure l’allenatore viola Montella ha udito gli ululati.
Giusto non sottovalutare, sacrosanto condannare, ma anche circostanziare.
Due imbecilli su diecimila sono lo 0,02% contro il 99,98%.
Le parole hanno un peso, ma anche i numeri.
E adesso basta, torniamo a parlare di pallone…