BERGAMO –Alessandro Dell’Orto
è uno dei nomi grossi del giornalismo orobico. Lavora al quotidiano Libero, dopo esser passato, a inizio carriera, da Bergamo Oggi, e poi da quotidiani di Parma e Lecco e dall’Avvenire. Si definisce un “giornalista di racconto”, perché ama intervistare uomini e donne, e gli aneddoti che ognuno di loro si porta dietro. Infatti per Libero ha curato la rubrica Soggetti Smarriti, nella quale (ri)pescava personaggi che nella loro vita hanno raggiunto grande successo e visibilità, per la loro carriera o per un avvenimento particolare, ma che poi sono più o meno spariti dalla scena. “E’ una sfumatura diversa, rispetto a quella della meteora, il personaggio che ha un successo molto forte ma effimero. Io racconto figure come ad esempio il grande Tito Stagno, giornalista dello sbarco sulla Luna: figure che non hanno avuto breve durata, ma che semplicemente, magari anche per loro scelta, poi si sono allontanate dalle luci della ribalta”, ci spiega. E Soggetti Smarriti è anche il titolo del libro, edito dalla WLM di Stezzano, che Alessandro presenterà domenica 17 novembre alle 18 presso la libreria IBS di via XX Settembre. Un libro nel quale raccoglie venticinque tra le interviste che negli anni ha fatto per il quotidiano diretto oggi da Maurizio Belpietro.
In che modo hai selezionato le interviste? “Il materiale di partenza era enorme: più di un centinaio di interviste. Ho cercato di rappresentare tutti i settori che ho toccato (tieni conto che la rubrica era partita con interviste a calciatori, e poi si è allargata a protagonisti di altri mondi), inserendo personaggi quindi di provenienza svariata, cercando di creare un equilibrio tra uomini e donne. Inoltre i responsabili della WLM sono intenzionati a pubblicare un secondo volume, se il primo andrà bene, e quindi ho deliberatamente lasciato fuori anche interviste interessanti, proprio in questa prospettiva”.
Quali sono i protagonisti più particolari, o più interessanti, a tuo avviso? “E’ difficile da dire. Ti posso sicuramente citare, tra quelli più faticosi da raggiungere, Maurizio Cocciolone, il pilota di caccia militare che era stato abbattuto e fatto prigioniero, nel 1991, durante la prima Guerra nel Golfo. Per strappargli un’intervista gli sono stato dietro più di tre anni, ma è stata per me una grande soddisfazione perché non si era mai concesso a un giornalista, da dopo la sua liberazione. Un’altra figura particolarmente interessante è stata Irina Sanpiter. Un nome che forse, così, ai più, non suona familiare, e invece è noto a tutti: è la famosa Magda, la moglie del frustrato Furio del film “Bianco, Rosso e Verdone”. Ci sono anche interviste ai calciatori, naturalmente: tra queste due tra le più belle sono quelle a Caniggia, che ho intervistato in occasione del suo ritorno a Bergamo, qualche anno fa, e a Glenn Stromberg, ma sono decisamente succose anche quelle a Renzo Garlaschelli, giocatore della Lazio dello scudetto del ’74, quello famoso delle pistole e degli scherzi violenti tra i calciatori, in cui mi racconta anche dell’episodio tragico di Re Cecconi, e a Luciano Marangon, che mi ha raccontato diverse avventure capitategli una volta terminata la carriera. Mancano invece i politici. Perché l’unico che ho intervistato è Patelli, della Lega Nord, e poi perché è difficile trovarne, di spariti: sono così bravi a riciclarsi, di solito”.
Parlando di calcio: oggi intervistare un giocatore è poco interessante, hai i minuti contati, puoi parlare solo con quelli che la squadra ti mette a disposizione, è difficile fare domande scomode… “E’ vero. I ridotti tempi a disposizione ti portano a una qualità minore del pezzo che stai scrivendo, ti trovi a intervistare situazioni, immagini, più che persone. Non necessariamente per colpa dei calciatori, ma proprio per il non-rapporto che si viene a creare. Un tempo invece potevi instaurare un rapporto più umano, con l’atleta, lo vedevi arrivare in macchina, cambiarsi, ci scambiavi battute, e questo portava a una confidenza maggiore, che poi si riverberava anche nelle interviste”.
Com’è lavorare a Libero? “Ci lavoro da tredici anni, per cui sicuramente mi trovo bene, altrimenti me ne sarei andato tempo fa. Ho la massima libertà, nei miei pezzi, e di questo ringrazio i miei direttori: naturalmente poi devi essere anche bravo tu, a sapertela conquistare e mantenere, la libertà, con la qualità del tuo lavoro. Nella mia carriera ho fatto un po’ di tutto, partendo dallo sport. Ora gestisco la cronaca, ma se potessi scegliere mi piacerebbe poter riprendere con le interviste, settore in cui da due anni a questa parte sono un po’ fermo, e che invece a me, giornalista di racconto, piace moltissimo. I miei modelli? Sono cresciuto con i pezzi di Gianni Brera e Gianni Clerici, per cui è inevitabile guardare a questi giornalisti”.
Qual è il più grande insegnamento di Vittorio Feltri? “Un insegnamento non strettamente tecnico: ci ho lavorato per nove anni, e la cosa più incredibile era partecipare a una riunione di redazione con lui, o comunque vederlo lavorare su una notizia: ti rendevi conto di trovarti di fronte a uno che aveva capito tutto in anticipo, con una capacità di giudizio incredibile. Avere davanti una figura così ti spinge a migliorare e a crescere in modo esponenziale, in quello che fai. Ho avuto modo di lavorare anche con Alessandro Sallusti, altro giornalista geniale. E poi ho avuto la grande fortuna di lavorare, a inizio carriera, a Bergamo Oggi, una ottima fucina dalla quale sono uscite firme di quotidiani nazionali, come Mattia Feltri, Carminati, Pelucchi, Marabini”.
Che cosa pensi dello scrivere di politica? “Personalmente non me ne sono mai occupato, ma ritengo che sia un po’ come raccontare il calciomercato, o gli spettacoli, nel senso che puoi “giocare” come vuoi, visto che ti trovi a scrivere di tecnicismi, regole e schemi in qualche modo prefissati. Un po’ come per il calcio, negli anni è cambiata la possibilità di creare un rapporto umano con i politici, e quindi di avere una qualità maggiore, negli articoli”.
Insegni giornalismo a Pavia, e mi raccontavi che cerchi di spiegare ai tuoi allievi anche gli aspetti negativi di questo mestiere. Quali sono, ad esempio? “Che c’è una forma di giornalismo che non ha rispetto per il lettore né per le persone che racconta. Io sono ancora in contatto con la gran parte delle persone (e sono centinaia) che ho intervistato, perché cerco di essere rispettoso e raccontare la verità. Detesto le forzature di titoli e notizie”.
Scusa, ma viene naturale l’obiezione: detesti le forzature, ma lavori a Libero… “Me l’aspettavo, e me la sarei fatta anche io, questa domanda. Però, vedi, Libero è un giornale, come si dice in gergo, “tagliato”: quel genere di giornale che dice al lettore “Io la penso così”, molto apertamente e sinceramente. Così che il lettore ha chiara la posizione della testata, è una forma di onestà. Trovo molto più grave, e in questo mi riferisco più ai giornalisti, che direttamente ai giornali, chi dice di scrivere in modo trasparente ma in realtà, tra le righe, fa capire di non esserlo”.
Manuel Lieta