di Matteo Bonfanti

Visto l’immenso interesse che ha suscitato l’articolo che ho scritto sulle varie dipendenze in cui ero sprofondato nei mesi di novembre e dicembre, faccio il sequel, un po’ come capita alle serie tv di successo. Attualmente la mia preferita è The Fall 3, la vicenda di un serial killer bellissimo, che perde la memoria e diventa un bravo tipo, buono, inoffensivo. Pur avendone combinate di cotte e di crude nei miei primi quarant’anni, sono sicuro di non aver ucciso nessuno e ne sono certissimo perché, nonostante gli eccessi, mi ricordo più o meno tutto quello che mi è accaduto nell’ultimo decennio. Eppure mi sento come Paul Spector. Lui aveva il vizietto di far fuori le donne, a me aveva preso il desiderio di suicidarmi, lentamente, tra sigarette, birrette, sambuchine, mirtini, spritzettini, Aulin e Moment.
Bene, a distanza di quattordici giorni dall’inizio del mio ramadan, mi sento di dire che smettere con gli alcolici è stato un sacco facile. Ovviamente parlo solo della mia esperienza. Ho deciso, mi sono messo, non ho più bevuto e non ne ho manco mai sentito il bisogno. Mi si è sgonfiata la faccia, non ho più il naso rosso, mi è sparita la panzetta da Tennents e mi è venuta addosso una forza mostruosa, che mi ero scordato di avere e che ogni sera mi fa prendere i miei due figli in braccio e lanciarli ripetutamente sul divano. Ascoltiamo a tutto volume i Rubba Dubba, un gruppo reggae di Civitanova, tra le poche band italiane che mettono addosso allegria, voglia di ridere, saltare, insomma vivere. Mi lancio in danze folli, mi scopro John Travolta, canto a squarciagola, disturbo i miei bambini, intenti a giocare a Super Mario Bros, e l’intero vicinato, che nel Borgo riposa, sempre.
La mattina lascio sempre più spesso la macchina a casa e vado al lavoro a piedi, mi accorgo che da lucido Bergamo è fighissima, zeppa di cassetti che si aprono inaspettatamente, magica, una città che in superficie pare dura e senz’anima, invece sotto la pellaccia ruvida ha un bel cuore, della stessa materia che hanno le nuvole, le caramelle gommose, i sorrisi, la musica classica. Alle sette mi metto a cucinare, una nuova passione, ieri ho fatto le polpette, identiche a come le faceva mia nonna Chiara, unte da far paura, con un chilo di formaggio grana, sicché gustosissime. Zeno, il mio secondogenito, l’unico vero carnivoro della famiglia, se ne è pappate dieci e ne voleva ancora. Senza alcol non c’è niente che non va e il mio consiglio a chi sta soffrendo per qualcosa è di farsi una pausetta dalle storte quotidiane. Da astemio la nebbia si dirada e aumentano le giornate di sole. E poi ho l’impressione che le tisane al melograno migliorino il carattere, rendendolo leggero, felice, cretinetto, predisposto alla metà bella del mondo. Diversamente da quando si è ciocchi, da sani si pensa più a quello che si ha e meno a ciò che si è perso. Si smarrisce il filo della malinconia, un sentimento stupendo, poetico, ma solo quando lo si vive a piccole dosi.
Opposto, invece, il capitolo fumo. Va detto che dai tre pacchetti quotidiani che mi pippavo durante la mia crisi esistenziale, sono passato a dieci sigarette al giorno, con una riduzione che dati alla mano si attesta intorno all’ottanta per cento, che è buono. Ma l’obiettivo era smettere e ad ora non ce la faccio. Mi guardo e mi accorgo che il tabacco è il mio placebo. Come sapete, sto seguendo la filosofia tolteca (essere impeccabile con le parole, non prendere nulla in modo personale, non supporre i pensieri degli altri, fare del mio meglio) e mi sento un adepto anche di un certo livello, diciamo discreto. Eppure ci sono momenti in cui ancora mi viene da incazzarmi di brutto. Tipo martedì col vecchio sulla Grande Punto. Racconto l’episodio: sto andando al Blu Puro a prendermi il solito panino da muratore, col tonno, il pomodoro e un quintale di maionese, vedo che l’anziano alla guida della sua carinissima macchina è a una certa distanza e sta andando pianissimo, valuto il tutto, prendo il coraggio necessario e mi metto ad attraversare la strada, lui accelera che pare Schumacher quando era in Ferrari, mi fa il pelo e io mi prendo una strizza bestiale. Vorrei rincorrerlo, andare a tirargli quattro ceffoni, invece faccio finta di niente, neppure gli faccio il dito medio che si meriterebbe. Ma mi resta addosso un’immensa tristezza. Allora mi accendo una stizza, tre tiri lunghissimi, dieci secondi e la finisco. Mi calmo, ringrazio la Marlboro.
Ieri che è stata una giornata assai piacevole, in redazione a scrivere articoli sul momento magico della Virtus Bergamo, sul cammino della corazzata Caprino e su Davide Castelli, il ragazzo di Clusone appena acquistato dal Villareal, mi sono sentito che potevo farcela. Non ho fumato per dodici ore, il mio record personale dal 1994, poi mi è venuta addosso una voglia che avrei comperato dieci stecche di Philip Morris, sei di Camel e quattro di Winston blu. Ho preso il solito pacchetto, mi sono dato la regola del mozzo ogni due ore e la sto mantenendo.
Che dire? Non c’è un finale, non c’è una morale, scrivo giusto per tre motivi: per raccontarla, per tranquillizzare mister Cingarlini, Angela Lamberti che è la moglie di mio babbo, e la dolcissima Donatella Tiraboschi, e per passare la mattinata scrivendo, una delle tre cose che mi fanno sempre godere. Mi vien da chiudere così: domani è già venerdì e festeggerò con gli amici ubriaconi la mia vita da astemio, sabato vado a camminare in Città Alta, un posto magico, totalmente pedonale, e lascerò le sigarette a casa perché sarò felice di avere due gambe forti che mi portano dappertutto, anche in America o in Africa se me ne venisse voglia.