di Matteo Bonfanti

L’altro ieri sono stato su fino alle cinque di mattina per riuscire a capire chi avesse vinto le elezioni americane. Guardavo Sky, mi addormentavo, poi mi risvegliavo, vedevo a chi era andato il Maine, l’importantissimo Ohio, lo stato di Washington, che manco sapevo che esistesse. Ascoltavo le menate dei giornalisti che avevo davanti agli occhi e tempo cinque minuti mi abbioccavo di nuovo. Così per tre ore fino a quando ho capito che Trump ce l’aveva fatta. A quel punto mi sono sentito a posto, di aver assolto il mio dovere, quindi ho spento la tele e sono andato a letto. Russavo di brutto e mia moglie continuava a spostarmi, con forza, con il discreto odio di chi vive insieme da un bel pezzo di vita e inizia a faticare. Tra Trump, la Clinton, la cartina degli Stati Uniti un po’ rossa e un po’ blu e Costanza che mi faceva il verso che si fa ai gatti, mi sono riposato malissimo.
In quel poco ho sognato. C’era Donald, il Berlusconi americano, che mi lavava i piedi e io ero nel panico nero. Gliel’ho detto: “Presidente, non voglio, mi imbarazza e mi fa il solletico, piuttosto chiacchieriamo abbracciati, da amici amici”. E lui niente, andava avanti col pediluvio fottendosene altamente, parlandomi ogni tanto in americano, da gradassone, di quelli che si abbuffano dal Burger King. Mi diceva: “Hey, Bonfies, do you play soccer?” oppure “Hey, Bonfies, the pen is on the table” o, ancora, “Bonfies, here’s a present for you”. Donaldone mi ripeteva le uniche frasi in inglese imparate in tredici anni passati a scuola, una vacanza studio a Londra e pure una modesta occupazione nell’anno 2000. Qui devo aprire una piccola parentesi, che altrimenti sembro un coglione. Pur avendo avuto un botto di possibilità, non parlo la lingua anglosassone perché sono sempre stato un sacco fortunato. La prima volta che sono stato in Inghilterra vivevo in una casa di italiani, i Pigazzini, una famiglia con tre bimbette e una cugina bellissima, Sara, diciottenne super sexy, e io che avevo sedici anni le stavo addosso, che mi pareva che l’obiettivo fosse lei, non la conoscenza di una seconda lingua. Quando invece mi han preso a lavorare è stato ancora meglio. Impiegato all’Italiano Newspaper, un giornale finto, pagato da un consolato totalmente preso da altre faccende. E lì ho conosciuto mia moglie, Costanza, giovane, bella e pazzerellona, un fiore. Sicché è stato più che altro scoprirla. Di brittanici manco l’ombra, c’era il nostro albergo a Gloucester Road, noi due nel letto, spesso ubriachi, a far l’amore e a ridercela, ovviamente sparando cazzate, in lecchese.
Torno a Trump, di cui mi piace il nome, lo pronuncio e mi viene da saltare. Diversamente da quando ha vinto Obama, che ero felice, pieno zeppo di speranza, questa volta mi sono reso conto a più riprese che non me ne frega assolutamente niente. Tenevo alla Clinton, ma manco tanto, mi era più simpatica per la vicenda che aveva perdonato il marito che si era fatto fare un pompino, legittimando quanto vado ripetendo da anni, ossia che il sesso orale non va configurato nella gamma dei tradimenti. Al di là della vicenda fellatio, zero. Hillary non mi è mai piaciuta, troppo uomo, una delle tante donne di potere che si trasformano in maschi, scimmiottandoci, dimenticandosi che l’universo femminile è meglio di noi per via dell’accoglienza. Se è una gara a far gli stronzi, i crudeli senza cuore, vinciamo noi che abbiamo il pisello. E infatti il presidente è Trump.
I pensieri sono questi, ma il principale è un altro: che mi cambia? Nulla. Non mi danno più soldi in busta paga, i miei figli non smettono di avere i pidocchi nonostante i trattamenti settimanali, l’ovo sodo, che non va né su né giù, continuo ad averlo a giorni alterni, Donald non mi paga un biglietto per le Hawaii, le guerre ci saranno ancora, i poveri pure, il mio inquilino Alì mi dirà per l’ottantesima volta che domani farà il bonifico e di mandargli il mio codice iban. E le stesse cose sarebbero accadute con la Clinton alla Casa Bianca. Sicché se ne vadano tutti un po’ affanculo, che questa mattina ho letto tre giornali e pareva la fine del mondo, la catastrofe, e ho avuto dieci minuti di puro terrore, sigillato nell’angoscia, a sudare freddo. E anche su facebook: la smettano di far preoccuparmi per Trump, che uno con quella pettinatura mi fa solo ridere. E ho ben altri cazzi a cui pensare.