MOROLDO2di Matteo Bonfanti

L’ultima volta che lo avevamo sentito era stato per complimentarci. Perché era riuscito ad esaudire il sogno di un intero paese: Costa di Mezzate. Da presidente dei biancazzurri aveva portato al campo comunale il massimo del calcio giovanile europeo. Aveva organizzato un grande torneo, il Memorial Alessandra Lenzi, appuntamento che aveva visto tra gli assoluti protagonisti i ragazzi della Primavera del Milan e quelli della Juvenil B del Barcellona. Il centravanti blaugrana era argentino, si chiamava Icardi. E già all’inizio dell’estate del 2010, il nostro Max aveva capito sarebbe diventato un grande campione. Perché l’ex numero uno del Costa di Mezzate,  Moroldo, è così: lui, di lavoro, scopre i talenti e poi li accompagna lunga la faticosa strada che li porta al successo. Lo fa soprattutto nella musica, nel ruolo di produttore, ma – da grande appassionato di pallone qual è – gli capita di scovarne anche nel pallone. E, proprio da qui, parte la nostra intervista a una persona allegra e fantasiosa, che, se decidesse di rientrare nel mondo dei dilettanti, ne diventerebbe una straordinaria risorsa.
Max, nell’ottobre del 2010 eri presidente del Costa di Mezzate. Poi hai detto addio al pallone. Perché? «Mi sono buttato a tempo pieno nella musica. Ma non ho lasciato completamente il calcio. Mi sono dato anche a un’iniziativa di sostegno dei giovani talenti del pallone. Si chiama proprio “Talento”. Insieme al mio amico Fernando Fuentes, spagnolo, la persona che mi aveva aiutato a portare il Barcellona a Costa di Mezzate, abbiamo creato una rete di osservatori tra l’Italia e la Spagna. Poi in diverse nazioni africane, come il Camerun, strizzando l’occhio ad alcune importanti realtà calcistiche sudamericane. L’idea è la stessa della mia casa discografica (“Do It Yourself”, ndr): scovare campioni e poi portarli al successo nel loro campo».
Ti manca il calcio provinciale? «L’emozione della partita. Non quello che c’è dietro. Ho letto la lettera dell’ex presidente pubblicata un mese fa dal vostro giornale. Condivido molto della sua analisi e vado più in là. Penso che il problema in Italia sia la mancanza di pazienza con i giovani, a tutti i livelli, dalla Serie A alla Terza categoria. Con i ragazzi non bisogna pensare a risultati immediati, ma ragionare a lungo termine, su tre anni: aiutarli, seguirli per poi farne sbocciare il talento. Qui da noi non si possono fare progetti che guardano lontano, si vuole sempre tutto e subito. In Germania, ad esempio, si va nella direzione opposta. Basta pensare al Borussia Dortmund. Hanno creduto tantissimo nel loro gruppo ed ora stanno avendo risultati pazzeschi, a costi dieci volte minori rispetto a quelle delle altre big europee. Sono stati bravissimi a costruire in casa il loro orticello che, ora, è diventato un tesoretto. Della Masia del Barcellona è inutile parlarne. Il vivaio blaugrana è straordinario».
Cambiamo, per un attimo, argomento: la musica. «E’ in un momento difficilissimo, più in crisi anche del calcio. Perché i negozi di dischi chiudono. La vendita dei brani su internet fa numeri interessanti, ma ha margini di guadagno irrisori. E poi c’è la pirateria, un male che in Italia è radicato mentre in altri Paesi non esiste neppure».
Dal generale al particolare, il tuo “Pulcino Pio” ha fatto registrare un successo straordinario. «Devo anche ringraziare mia figlia. E’ tornata dal Cre estivo e per tre giorni ha continuato a cantarmi il Pulcino Pio. All’inizio non gli ho dato peso, poi però una mattina mi sono svegliato e avevo la canzone in testa. Sono andato a vedere di chi erano i diritti e, tra gli autori del testo in italiano, c’era un mio carissimo amico, Lucio Scarpa di cui sono stato il testimone di nozze. Bruno Benvenuti, editore dell’emittente Radio Globo di Roma, aveva tradotto una vecchia filastrocca brasiliana. Ho capito che poteva diventare un successo e mi sono buttato anima e corpo nel progetto. E’ andata benissimo: il Pulcino Pio è stato rifatto in diciotto lingue, il video ha stabilito parecchi record ed è arrivato a mezzo miliardo di visualizzazioni sul canale youtube che gli abbiamo dedicato».
Da anni quello che tocchi diventa oro. Con chi stai lavorando? «In questi mesi con Ola Svensson, artista svedese della Sony di cui sto seguendo la promozione e la crescita artistica. La sua “I’m in love” è stato uno dei tormentoni dell’estate. Ora sto lavorando al nuovo album di Raffaella Carrà, un mito. Quando sono andato a trovarla e si è aperta la porta, ho provato un’emozione indescrivibile. Mi ha accolto dicendomi: “Chiamami Raffaella, così ti senti subito a tuo agio”. Frequentandola capisci perché è da cinquant’anni sulla cresta dell’onda. Non è un successo arrivato a caso, ma costruito, cercato. Raffaella è un’artista da vedere. Con me torna a fare brani inediti dopo tredici anni. E io devo dire che vivere a contatto con una persona della grandezza di Raffaella ti arricchisce. E’ anche molto generosa, da anni aiuta i bambini di Manila, ma non vuole che si sappia… Ops!».
Torniamo a Costa di Mezzate. Che ne è stato di quel meraviglioso gruppo di juniores che ti seguiva ovunque andassi? «Con molti di loro sono ancora in contatto e siamo anche andati in vacanza insieme. Anche con mister MOROLDO3Rizzi, allora allenatore della prima squadra, il legame è rimasto forte e ci sentiamo spesso».
Due talenti: uno musicale e uno calcistico su cui scommettere. «Per quanto riguarda la musica italiana dico Fedez. E’ uno dei cantautori che diranno tanto nei prossimi anni. Nell’ambito calcistico me ne piacciono parecchi: Taider dell’Inter, Naingollan del Cagliari, Livaja dell’Atalanta, Willems del Psv, Pogba della Juventus. E poi il mio Icardi, scoperto dagli osservatori della Sampdoria proprio al nostro torneo. A Costa di Mezzate l’avevamo premiato quale bomber del trofeo. Era giovanissimo, ma già si vedeva tutto il suo potenziale. Bravi i dirigenti blucerchiati ad accaparrarselo».
La tua Inter. «Non credo arriverà oltre il quinto posto. Paga una riorganizzazione che andava fatta subito dopo il Triplete. Lo scudetto andrà ancora alla Juventus, vedo bene il Napoli in Europa. Come società ammiro l’Udinese che riesce a vincere, mantenendo i bilanci sani».
In estate i Mondiali. Il tuo pronostico. «Potrebbe essere l’anno dell’Argentina. Scommetterei anche su l’Italia, ammesso che resti Prandelli. Ha rivitalizzato il gruppo azzurro usando il bastone e la carota. Ha fatto tornare la voglia ai giocatori italiani di indossare la maglia della Nazionale. Attenzione poi al calcio africano, mix di fisico, velocità e piedi buoni, e alla Germania multietnica».
Non ha mai pensato ad un ritorno nel calcio dilettanti? «Ho avuto parecchie proposte, anche recenti, ma nulla di concreto e stimolante. Nel calcio – tanto più in quello dilettantistico – non bastano i soldi se non hai un vero progetto: è come essere milionari al Monopoli, nella vita “reale” non conta nulla».
Un paio di settimane fa a Quelli che il Calcio con Ola Svensson,  Max Moroldo diventerà uno dei protagonisti del nostro sito www.bergamoesport.it. Proporrà ai nostri  lettori dieci brani, una sua play list per celebrare i nostri grandi calciatori. Aspettatevi qualcosa di magico, perché con Max è sempre così.

FOTO ANGELO PARSANI