di Matteo Bonfanti

Anche se Marino s’affretta a dire al popolo atalantino che Colantuono non rischia manco se perde la quarta partita di fila, tra l’altro la quinta in sei gare di campionato, da quest’altro angolo di giornalismo sportivo l’impressione resta tutt’altra. La si ascolta nei bar della zona dello stadio o nei discorsi dei ragazzi che vanno la domenica in curva, persino nelle parole degli imprenditori che ci fanno la pubblicità. E la si trova tra le righe degli articoli, i nostri, quelli dell’Eco, del Corriere, di Bergamonews.
Quindi, se per la società con sede a Zingonia l’Udinese non è l’ultima spiaggia di Colantuono, per tutti gli altri lo è eccome. Non ci sono i risultati, non diverte il gioco e questa Dea non ha mostrato neppure un briciolo di cuore. Non c’è niente di buono. Di chi sono le colpe? Il pensiero comune assolve con formula piena chi ha fatto il mercato, definendo la rosa all’altezza. E, automaticamente, mette sul banco degli imputati il mister, reo, sostanzialmente, di due “reati” calcistici: non aver ancora scelto il modulo che meglio si addice ai suoi ragazzi e non far giocare (sempre) i migliori o presunti tali.
Il calcio è un gioco, il più divertente di tutti. E anche a Bergamo siamo tutti allenatori. Persino io che, da ragazzo, ho avuto una fugace (e pessima) esperienza come secondo sulla panchina degli esordienti dell’Aurora San Francesco. Così nel mio pezzo di oggi mi taglio i capelli, mi rado la barba, faccio un paio d’ore in palestra, tento la parlata in romanesco e mi trasformo in Colantuono, a Zingonia, alla vigilia di una battaglia decisiva. Quali uomini sceglierei? Con quale strategia di fondo?
Innanzitutto mi affiderei totalmente al talento. Me la giocherei mettendo la fantasia al potere a centrocampo e in attacco, nella convinzione del Sacchi di Parma o del Galeone di Pescara: meglio pareggiare 5-5 che vincere 1-0. Almeno la gente si diverte e finisce per stare dalla mia parte. Partiamo, ovviamente, dal meglio che c’è nell’odierna Atalanta. Per chi scrive sta nel reparto che ha l’onore e l’onere di fare gol. Pronti via: Bonaventura a ispirare Denis e, soprattutto, a cercare Livaja, imprescindibile per la qualità che ha nei piedi e per la gioventù che sprigiona. Dietro al trio delle meraviglie, Cigarini e Baselli e poco importa se in mezzo al campo non ci sono randellatori. Con quei due a tessere il gioco, uno accanto all’altro, gli avversari la palla non la vedono neppure col binocolo. Resta sempre alla Dea e magari finisce in goleada. Se proprio capita che, casualmente, la sfera finisca all’Udinese, ecco Carmona, piazzato davanti alla difesa, a formare un rombo in mediana che ha in Jack l’elemento di raccordo con la fase offensiva.
In difesa tre scelte obbligate (Del Grosso a sinistra e i centrali Stendardo e Lucchini) e una novità: il romeno Nica che è giovane e forte e magari si fa la fascia da cima a fondo una decina di volte.
Non so se Colantuono passi del tempo a leggere il nostro sito anche solo per farsi due risate. Ma io ho un sogno pazzerello e ve lo racconto. Arriva da lontano, dalle favole che leggevo da bambino. Finivano e avrei voluto saperne un po’ di più. Parlo, ad esempio, del matrimonio di Cenerentola. Com’è andato a finire? Sta ancora insieme al principe oppure si è separata e si è messa con un altro? E ogni volta avrei voluto telefonare all’autore.
Così nel calcio. Mi piacerebbe che il Cola mi chiamasse, mi spiegasse se e dove sbaglio nella mia formazione ideale: insomma cosa va e cosa non va. Non succederà, non ha il mio numero e, soprattutto, ha altro a cui pensare: vincere e convincere con l’Udinese. E poi immaginatevi se dovesse sentire tutti gli allenatori dell’Atalanta sparsi nella Bergamasca… Povero Stefano: passerebbe l’intera vita attaccato al cellulare.