“Senza terminale offensivo per noi sarebbe difficile contro chiunque”. L’oracolo da dopo partita del sabato sera settembrino ha il sapore del deja vu, dello scontato, dell’ovvio, del ve l’avevo detto. Okappa, mister Edy Reja, siamo con te. Concedere il “Bortolotti” al nemico di turno, in questo caso all’ex bresciano Mircea Lucescu, fa sempre male. Ma il fastidio per la bua è attenuato dal cabotaggio dell’avversario, che tra parentesi si fa la Champions. In attesa del poker di sfide per chiudere il mese col nasino all’insù puntato verso la costellazione della salvezza, Sassuolo-Verona-Empoli-Samp in un paio di settimane da lingua in gola con rigorosa alternanza tra spedizioni extra moenia ed esibizioni casalinghe, un test senza infamia né lode con lo Shakhtar ci poteva stare. Anche perché ha confermato che a questo giro l’Atalanta ha una sua fisionomia precisa, calzata a pennello sul tridente, e un uomo-più nel mancato regalino agli sceicchi: un Maxi Moralez che, falso nueve di circostanza o meno, giganteggia da nanetto portentoso dall’alto di una statura tecnica e di una visione di gioco da vertigini. Tra precampionato, Coppa Italia, due match di serie A e ultima amichevole (l’unica davvero di spessore insieme a quella agostana in chiaroscuro col Chievo a Ponte San Pietro), è già tempo di bilanci. Giusto per scrutare nella sfera di cristallo l’annata che aspetta i tifosi nerazzurri, ancora con l’incubo del 2014/2015 nelle pupille. Le cose paiono funzionare benino. Dopo il caravanserraglio di San Siro profanato dall’Inter grazie al rosso di Carmona e alla stanchezza insopprimibile sull’ultimissima rimessa da Jo-Jo, la decina di palle gol sfornate dai ragazzi del Vecio contro una diretta concorrente come il Frosinone ha convinto anche i più scettici. Anche se il mentore di Lucinico esige bottini più cospicui: “L’obiettivo è finalizzare ogni tre palle gol create”, la sua sentenza in odore di commerciale esperto. A margine del confronto con il Donbass calcistico minato da sulfurei nembi di guerra civile tra russofoni filoputiniani e ucraini al traino dei poteri forti della globalizzazione yankee, poche parole per dire che tutto sommato non ce ne frega più di tanto: “Abbiamo creato, abbiamo fatto correre la palla senza centravanti, abbiamo retto davanti a una squadra di rango: di più non potevamo fare”. In effetti il consueto test di fine estate per onorare la memoria della Dinastia più luminosa del firmamento pallonaro di casa nostra non avrebbe potuto essere particolarmente indicativo, date le cospicue assenze di nazionali (Radunovic, Conti, Kurtic, Monachello e Pinilla) e infortunati (Denis e Cigarini su tutti, più il riservista dei pali Bassi e l’ex giovane Suagher), benché mancassero diversi elementi anche sull’altro fronte. Certo, viste le chances sciupate (Dramé, lo stesso Maxi, più Bellini e Giorgi nella ripresa) recuperare a una condizione accettabile Pinilla e gli infortunati della spina dorsale (Tanque e Ciga, usurati dagli anni in cui hanno tirato il carretto) saranno i must alla ripresa delle ostilità. Nondimeno, al completo il centrocampo è un reparto coi fiocchi, in grado di tamponare e costruire, rafforzato com’è soprattutto dal dinamismo e dalla duttilità di de Roon. L’importante è che dei tre centravanti in rosa accumulino numeri sostanziosetti sotto porta almeno in due. Altrimenti lavorare per smistare la corrispondenza e imbucare sarà una fatica improba. Per adesso, chi s’accontenta gode. Specie dietro: “Toloi e Pinilla devono ancora trovare gli automatismi e completare l’inserimento nel gruppo, ma come primo impatto anche col pubblico non c’è male”, l’Edy-pensiero. E fa nulla se l’italo-brasiliano s’è fatto sorprendere da Teixeira nell’azione decisiva del ventunesimo trofeo intitolato ai sommi Achille e Cesare, epigoni di un calcio ancora artigianale soppiantato da uno show-business di provincia che a volte fa arricciare il naso ai palati fini col pallino dei mitici Ottanta. Chi s’accontenta gode, repetita iuvant. E strada spianata all’ottimismo. Forse non per i partenti (in quota Ascoli) Canini e Giorgi, ma questi sono drammi residuali del calciomercato a scadenze variabili da serie cadetta.
Simone Fornoni