di Matteo Bonfanti
Tra un casino e l’altro mi sono dimenticato di Trocchia, una delle persone migliori del nostro calcio, un uomo che unisce competenza e passione. E non ce ne sono più così tanti. E’ quasi un mese che ci siamo visti, gliel’ho chiesto io, m’interessava sapere il suo primo anno da allenatore, lontano dall’area avversaria, la seconda casa di Re Igor, zingaro del pallone provinciale, oltre trecento reti in vent’anni di carriera. Se ne scrivo solo adesso un po’ è colpa del mercato, che per me è una droghetta, poi c’è anche che i miei due bambini hanno finito scuola e lì ho spesso in redazione. Fanno casino e non mi conciliano con quello che per me è Trocchia, un eterno ragazzo, sorridente, gentile e profondo. Per scrivere di lui ci vuole silenzio, non si può buttare giù l’articolo come mi capita quattro volte su cinque. Perché Igor è raro: intanto sono sempre stati due, quello già descritto, incontrato lontani dai campi di calcio, e il suo esatto contrario una volta indossata la maglietta numero nove, ovvero il famoso rampino, il centravanti che non molla mai, che strattona lo stopper e lo tira giù, all’occorrenza, se serve ad andare in gol, la sua unica missione.
Quando l’ho cercato è stato per capire se adesso che è mister ha perso la sua naturale dualità, diventando un solo Igor. Già i suoi dirigenti, quelli dell’Aurora Seriate, mi avevano descritto il suo lavoro nelle giovanili, quello di un tecnico preparato e attento, soprattutto alla crescita dei baby calciatori, la cosa più importante. Perché a otto anni l’allenatore serve solo a fare amare un pezzettino di vita, le due ore passate al campo, lontane da una scuola che insegna la competizione e da una famiglia spesso in difficoltà perché i soldi dello stipendio finiscono presto, non sono mai abbastanza.
Vederlo in redazione mi ha confermato che Trocchia, ora passato nel vivaio del MapelloBonate, è già il mister che i suoi piccoli atleti terranno nel cuore anche quando saranno diventati grandi e giocheranno i play-off per salire in Prima o in Promozione o in Eccellenza. «Allenare i bambini è bellissimo sotto tutti i profili – sono state le prime parole di Igor -. Perché è vero che si è lì per iniziare a insegnargli la tecnica di base, ma si è anche tanto animatori. Bisogna giocare con loro, sorridergli, farli stare bene, evitando di stressarli. In questo mi ha aiutato essere papà di due bambine. Dà una marcia in più».
La nota negativa… «Sicuramente sono le aspettative dei genitori, che sono altissime e che dopo un paio di mesi vorrebbero vedere il proprio figlio giocare da fenomeno. Fanno male. A noi il compito di non dare peso alle parole dei papà. Perché il lavoro di un tecnico delle giovanili è fare crescere i bimbi calcisticamente senza pressioni, nel puro divertimento».
Ventisei bambini del 2006, un bel gruppo. Come si gestisce? «Io, Riccardo Putelli e Maurizio Lazzaroni, splendidi compagni di viaggio in questa bella avventura, abbiamo subito suddiviso i bambini in due gruppi, nel primo i più abili a livello di coordinazione motoria, nel secondo quelli meno dotati. Ovviamente si parla di capacità iniziali, c’è chi ha bisogno di più tempo per imparare determinati esercizi, ma questo non vuol dire che diventerà un calciatore scarso. Significa che deve seguire un percorso didattico più lento. Personalmente sono dell’idea che a otto anni l’allenamento deve essere tanto basato sui giochi di gruppo. Quindi inizialmente pallamano o rugby, poi, dopo un po’ di esercizi, la partita di pallone, importantissima».
Vent’anni a segnare raffiche di gol in tutti i campionati dilettanti della Lombardia. Quanto manca la domenica di fuoco a re Igor? «All’inizio tanto, a riprova che non ho smesso fino in fondo e sono andato a giocare negli over. Poi, col passare dei mesi, ho iniziato ad apprezzare il cambiamento di ruolo, da calciatore a mister. Ora mi sento allenatore. Che ha i suoi vantaggi: passi da attore protagonista della scena a quello di non protagonista, defilato, importante, ma dietro le quinte, a ragionare. E impari tanto. A me ha aiutato moltissimo Marco Gaburro (l’ex allenatore della prima squadra dell’Aurora Seriate, ora passato al Pontisola, ndr). Confrontarsi con lui credo mi abbia arricchito moltissimo sia dal punto di vista tecnico tattico che nella gestione di un gruppo complesso qual è una squadra di calcio, di bambini, di ragazzi o di adulti. Gaburro è in gamba, preparato e disponibile. Merita il ruolo che ha nel nostro calcio».
Quando si chiacchiera con Igor, è difficile fermarsi. Tanto lo fa quel che dice, parecchio come, in modo tranquillo, ma anche col sorriso di un eterno ragazzo felice perché appassionato di pallone. Sarebbe insomma da scriverci un libro. Ma noi siamo solo dei giornalisti, che dobbiamo riassumere perché abbiamo spazi limitati, quando va bene una pagina del nostro giornale. Quindi vi raccontiamo l’intervista in pillole. Trocchia tratta tutti i suoi atleti allo stesso modo, non ha un occhio di riguardo per i baby bomber che gli somigliano. Li guarda e li consiglia come fa con i bambini che vede portati naturalmente alla difesa, i futuri stopper, quelli che menano gli attaccanti che hanno la sua classe. L’ex stella del Monterosso pensa a un futuro su una panchina di una prima squadra, ma senza fretta, perché prima bisogna farsi le ossa nei settori giovanili. Quando succederà, che tipo di mister sarà il nostro Igor? «Mi vedo molto simile a Montella, uno che come me giocava centravanti. Vincenzo è un tecnico che predica un calcio molto propositivo. E un allenatore che si confronta sempre con lo spogliatoio. Credo che la via giusta sia la sua, che un giorno vorrei diventasse anche la mia».
Chiudiamo con una piccola considerazione, che è anche un desiderio: uno come Igor messo su una panchina di Eccellenza, di Promozione, di Prima, di Seconda o di Terza farebbe bene al nostro calcio provinciale perché regalerebbe competenza e sorrisi. Sarebbe un mister lontano anni luce dal pallone esasperato che alle volte incontriamo nei commenti sul nostro sito. Sarebbe l’allenatore dei sogni.