di Simone Fornoni

Brutta e perdente (chapeau al Grifone), ma col popò al caldo. È fatta, anche se mancano due paginette – Chievo e Milan – da riempire per onor di firma. Ora che la barchetta è sicura di rimanere nel porticciolo degli yacht, si possono mollare gli ormeggi del solito polpettone. Per renderlo meno indigesto, ecco l’alfabeto della salvezza, da sorseggiare per agevolare l’abbiocco. Dalla A alla Z, ventuno paroline per comprendere i perché degli attuali orizzonti un po’ ristretti dell’Atalanta. Perché azzardarsi a scrutare nel futuro è peggio che decifrare i fondi del caffè.
A come abbondanza. Da un quinquennio la rosa ha due alternative per ruolo. Una non gioca mai. E poi si lavora di taglia e cuci, vedi colonia cesenate o Pinilla perché il bomber di sempre bombera meno. Strategie mirate cercansi.
B come serie B. La grande paura. Mai materializzatasi davvero, anche se dodici partite fa l’andazzo era talmente triste da far sospettare perfino la remuntada di Cagliari e Cesena.
C come Colantuono. Vittima del suo conservatorismo, ovvero Maxi dietro Denis e via a pedalare, oppure dell’inchiesta di Cremona? Opzione C: volti nuovi & scontenti. Quando cambiano le pedine, difficile andare a dama.
D come D’Alessandro. La rivalutazione del Marco. Punta esterna, non come voleva il Cola. Mah. L’uno contro uno ce l’ha, la porta non la vede. Però che slalom, che dai e vai. Per tenere Emanuelson in panca si deve pur essere qualcuno.
E come empatia. Tra lo spogliatoio e il nuovo castigamatti è scoccata all’istante. La crisi di rigetto per il defenestrato ha giocato a favore del sostituto, sospeso a metà tra la figura paterna e quella di nonno. Potere dei settant’anni. E del gap generazionale in organico.
F come Friuli. Gorizia sarebbe nella Venezia Giulia, ma il mister che è di quelle parti non è d’accordo. Le saggezza laboriosa da Tocài a sorseggi e la calma paziente da pesca nell’Isonzo richiamano alla memoria i fasti di Gigi Delneri da Aquileia. Non a caso un amico.
G come Gomez. Non doveva far rimpiangere Bonaventura, del quale non ha il fisico né la duttilità. Converge dalla mancina e fa danni, quando sta bene. Appunto: meglio chiamarlo Godot. Ne ha fatta fare, di anticamera.
H come hotel. L’organigramma di Zingonia, in trasferta, fa la fortuna degli albergatori. Il Centro Bortolotti è pieno di cellette con scrivania: Marino e Sartori, Zamagna e Costanzi, fino al vecchio Spagnolo. Si spera non diventi un vespaio, con tutte quelle api regine.
I come insofferenza. Dei tifosi verso il non gioco, del condottiero ripudiato verso i fischi, dell’ambiente verso gli spifferi del calcioscommesse e le misure draconiane su curva e trasferte. Un leitmotiv d’annata a rischio di nervi.
L come lusso. Il velluto su cui s’è campato a lungo, ovvero la spina dorsale Stendardo-Cigarini-Maxi-Denis. Cambiato il contorno al piatto di portata insipidito, largo ai bruciori di stomaco.
M come mass media. A Bergamo come altrove s’accorgono delle magagne vere o presunte. Ma i tifosi sbagliano a prendere di petto i giornalisti. Gli insulti ne alimentano il narcisismo e il vittimismo.
N come noia. Insieme alla strizza, il retrogusto d’una stagione ai minimi termini. Ahò, mica semo er Barcellona, diceva il detronizzato. Bah, meglio il sonnellino delle coronarie deboli.
O come oblìo. Per la deontologia giornalistica è il diritto dei condannati a non essere citati ad anni dal fattaccio. Eppure ogni volta rientra in ballo Doni (incensurato per la giustizia ordinaria), tra “Mr.” e “Ds”. Ma è l’Atalanta ad aver bisogno di metterci una pietra sopra, per evitare travasi di bile perenni.
P come pubblico. Il Dodicesimo in campo. Inutili i paragoni con le presenze degli anni Ottanta, siamo nel secolo del prepotere televisivo. Mancano le bandiere, gli enfants-du-pays sono altrove. Il calcio-business è un prodotto da smerciare. Quando non accontenta, non vende.
Q come quattro. Le scialuppe di salvataggio, dalla primavera 2012 a oggi, per sottrarsi ai gorghi perigliosi della serie B. Una faticaccia a calarle in mare, ma l’importante è evitare le secche e gli scogli.
R come Reja. Ha liberato il collettivo dalle paure inconsce a prezzo di tappe progressive e noiosette. Una sfilza di pareggi fino alla stabilizzazione all’insegna del tridente. Niente bacchetta magica. E niente risveglio dal coma di quelle sotto.
S come stadio. Il tormentone eterno. Percassi mira al benservito al condòmino Andreoletti strappando al Comune l’esclusiva in cambio del progettone. Ma a che serve, se l’Europa rimane un’utopia?
T come traghettatore. La qualifica adatta al buon Edy, che glissa sulla clausola della conferma automatica a obiettivo raggiunto. Bollito non è, ma un progetto è un altro paio di maniche.
U come usato (sicuro). Lo svecchiamento può attendere, se Bellini è un moloch multiuso e Biava a 38 anni bagna il naso a Cherubin. Dalla cintola in su, sotto la trentina, giocano quasi solo D’Alessandro, Maxi Moralez e il Papu. Ma prima o poi il mercato diventerà asfittico per mancanza di giocatorini adatti a una piazza senza ambizioni. Quando torneranno dalla diaspora i vari Conti, Nava, Suagher, Molina e Pugliese?
V come vivaio. Una risorsa seppellita sotto la coltre di utilitarismo spicciolo. Troppi parcheggiati, nessuno promosso, almeno dai tempi di Jack. Forse di fenomeni non se ne sfornano più. Ma poi, a parte la storia della rottura con le tradizioni, con chi monetizzi?
Z come Zappacosta. Il più futuribile, a 23 anni suonati. Lo Zambrotta nerazzurro. Farci cassa sarà uno scherzo, a meno che non rischi la camera iperbarica per i troppi su e giù.