di Federico Biffignandi

E alla trentaduesima puntata anche il diario del Loreto finisce, così come il suo campionato. Amaramente, tristemente, con mille rimpianti. Il campionato del Loreto si ferma e non va oltre proprio a un soffio dalla fine, proprio quando stava montando intorno a noi un’aurea di miracolo perché, lo sapevamo, avrebbe dovuto accadere qualcosa di simile. Un conto è credere ad un’impresa un conto ad un miracolo. A passo lento, con un orecchio (e forse qualcosa in più) a Cologno dove la nostra diretta concorrente, il Comonte, pareggiava e ci stava spianando la strada verso i playoff. 2-1 al 90’ a Loreto, 0-0 a Cologno: così si va ai playoff. Dal campo si percepiva che la grinta con cui ci incitavano dalla panchina era diversa, di chi sta credendo al miracolo perché si sta materializzando, ma si aveva paura a chiedere conferma. Meglio fidarsi delle sensazioni fino al fischio finale. Poi, quando dall’altra parte ormai arrivavano solo notizie positive, il pallone entra nella nostra porta: non sappiamo nemmeno noi come e perché, ma è entrato. 2-2 a Loreto, 0-0 a Cologno. Rabbia, tristezza, incredulità. Non sono bastate a nessuno due mani e dieci dita da mangiarsi per sfogare il sentimento che ci ha assaliti quando abbiamo realizzato che siamo arrivati a una manciata di secondi dal traguardo. Nient’altro che lo specchio della stagione, questo è quello che ci siamo meritati. Il succo delle pochissime parole che ci siamo detti nello spogliatoio è stato questo. Quest’anno abbiamo insegnato calcio, non tecnicamente per carità (sebbene ce la siamo giocata con tutte le squadre) ma, anche attraverso i racconti di queste puntate, abbiamo lasciato ai posteri la sintesi di quello che è il calcio e, forse in qualche occasione, anche la vita, senza esagerare perché si sa lo sport è lo specchio di quello che accade tutti i giorni e viceversa. Così come si potrebbe ribaltare il tutto e dire che il calcio ci ha insegnato tanto, tutto meglio dire. Un girone d’andata partito benissimo e finito con le ossa rotte, con un gruppo sfiduciato, con i risultati che non arrivavano anche per episodi surreali. Sempre la solita solfa: in vantaggio e poi il crollo con la sconfitta o il pareggio che, puntuale, arrivava in modo rocambolesco tra l’85’ e il 90’. Chi, tra di noi, aveva un po’ d’esperienza in più sapeva però che, con un gruppo dotato di buona qualità, non poteva continuare così fino a maggio. Ci abbiamo messo due allenamenti per ritrovarci, per sederci nello spogliatoio a parlare e confrontarci, anche a scontrarci ma abbiamo risolto tutto. Due allenamenti, nella pausa invernale, in cui non siamo nemmeno scesi in campo ma parlare è servito. Un girone di ritorno alla grande che ci ha catapultati dove (sulla carta a inizio stagione) meritavamo, lì in quella tanto sognata zona playoff. Zero parole, zero proclami, solo tanta voglia di giocare divertendosi e senza patemi né pressioni. Abbiamo guardato la classifica improvvisamente una sera di febbraio dopo aver vinto il recupero col Mozzo e ci siamo ritrovati in alto, abbiamo iniziato a crederci. Infilando vittorie su vittorie, bel calcio e sorrisi, ci siamo consolidati in alto mettendo paura, finalmente a tutti, e, forse, anche a noi. A Comun Nuovo un pareggio ci ha fermati moralmente, ma la domenica successiva un 4-0 nello scontro diretto con la Voluntas Osio ci ha rilanciati. Poi la maledetta pausa pasquale ha rotto il giocattolo, o meglio: ha fatto da spartiacque della stagione. Prima delle ultime tre, decisive, giornate gli dei del pallone hanno affidato tutto solo ai protagonisti in campo, come a dire: all’andata vi abbiamo voltato le spalle, al ritorno vi abbiamo donato un occhio di riguardo, ma ora sta a voi. Pareggio con l’Acov (da 2-0 per noi a 2-2 all’ultimo secondo), sconfitta a Zanica senza mai entrare in partita e, infine, l’ultimo fatale atto. Già, i conti alla fine tornano, è sempre stato così alla fine di ogni campionato: fortuna e sfortuna pareggiano sempre, poi tocca a te giocartela fino alla fine senza strascichi, senza rimpianti. Quanti rimpianti per noi invece. Sportivamente è andata così, umanamente è stata un’altra bella esperienza da mettere nel cassetto. Questa del “Loreto dentro lo spogliatoio” è stato un viaggio nato per gioco, l’obiettivo era raccontarci e raccontare cosa succede in una squadra dilettantistica. Spesso abbiamo perso di vista l’obiettivo, molte volte è servito per rimettere al loro posto alcune questioni, in ogni caso ha fatto un certo scalpore. Se ne è discusso, anche con parole forti, lo abbiamo capito che è stato seguito dai pareri positivi (diretti) e da quelli negativi che abbiamo dovuto sentire ogni domenica dal campo e da fuori. Come se volessero destabilizzarci, ma senza capire che solo loro hanno preso (anche) questa cosa in modo severo. Tra di noi di risate se ne sono fatte, si sono delineate le solite dinamiche di spogliatoio coi vari personaggi, i vizi e i vezzi di ognuno sono emersi da soli tanto che sarebbe stato bello raccontarli tutti ma non c’era tempo. E’ stato bello vedere le categorie delle giovanili che ci guardavano come se fossimo il loro “sogno” non noi in quanto giocatori, ma noi in quanto giocatori della prima squadra del Loreto. Li abbiamo visti allenarsi prima di entrare in campo e li abbiamo ascoltati nel “loro” spogliatoio stringendo anche con loro un rapporto. Siamo stati sempre noi, con tanti screzi, ma comunque uniti. Noi con gli allenatori, noi coi soliti aiutanti a bordo campo (per noi Franco e Papà Marghe) lì, spinti da chissà quale nobile motivo, lì sempre e comunque; noi coi nostri pochi ma buoni tifosi: due ragazze sempre presenti, due-tre papà, un nonno, qualche ex giocatore. Troppo poco, ma ci siamo abituati presto, forti della loro fedeltà, del loro tenerci a noi col gelo di novembre, la neve, le trasferte lontane, le sconfitte brutte. Ora, per qualche tempo, bisognerà staccare la spina e digerire la sconfitta che, quando subisci con la maglia per cui tifi e con cui sei cresciuto, diventa più dura, aspra, un macigno. Poi si guarderà avanti, al prossimo anno, con la solita grinta e il solito voler giocare a pallone con qualità, sapendo che il Loreto è vietato ai deboli di cuore.