di Federico Biffignandi

Per una volta non hanno vinto quelli antipatici. O meglio: chi ha vinto non è risultato antipatico. Da sempre, e per sempre, chi vince un campionato o una corsa importante, chissà perché, risulta antipatico. Spesso perché ci mette del suo con un po’ di furbizia e cattiveria agonistica (necessarie per vincere), qualche altra volta perché chi perde si sente inferiore e invidioso nel vedere gli altri festeggiare. Sin da piccoli, o forse soprattutto tra i piccoli – pulcini, esordienti – questo sentimento era molto marcato, si viveva ancora la partita del sabato e della domenica come uno scontro nel cortile della scuola all’intervallo quando, a dire il vero, non c’erano né vincitori né vinti, e così doveva essere anche la partita ufficiale dove, al contrario, vincitori e sconfitti c’erano al termine di una partita o di un campionato. Chi vinceva era la squadra dei giocatori fisicamente più avanti, di quelli con la scaltrezza e un’impronta già matura sul gioco. Venivano marchiati come bambini antipatici anche solo per l’aspetto fisico, per il volto già adulto, distante da chi perdeva. Non si parlava tanto di calciatori quanto, appunto, di bambini e forse maturava lì quell’accostamento “vittoriosi uguale antipatici”.
Quest’anno invece, il nostro girone l’ha vinto la squadra più forte, più organizzata, quella con la difesa più difficile da scardinare, con una tribuna enorme, un tifo caldo, giocatori forti. Ma non antipatici. Lo Zanica, a cui vanno i nostri complimenti, è sembrata, a noi del Loreto, una squadra ‘normale’ sempre riferendoci a quell’ingenua valutazione più riferita agli uomini (ormai non più bambini) che ai calciatori. Ragazzi come noi, giovani, tanti amici di vecchia data, dal calcio spumeggiante, poche parolacce in campo, tanta voglia di divertirsi con la palla tra i piedi e una serie di persone (con la “P” maiuscola) intorno. L’abbiamo capito già dal primo istante quando, a differenza di tante altre squadre, ci hanno permesso di preparare la partita in modo identico al loro, negli stessi spazi. L’abbiamo capito chiacchierando nel pre-partita anche coi dirigenti serenamente, l’abbiamo capito anche in campo e a bordo campo. Due persone a raccogliere i palloni quando uscivano e sparivano negli ampi spazi fuori dal terreno di gioco, sempre pronti ad accorciare le pause loro in qualunque momento della partita, su qualunque tipo di risultato, in qualunque situazione.
Hanno festeggiato davanti ai nostri occhi e nelle nostre orecchie il loro successo, hanno sportivamente accentuato il nostro rammarico per una sconfitta che può rovinare una stagione, ma non hanno infastidito personalmente, anzi l’istinto è stato di stringergli la mano. Il Loreto nello spogliatoio al 90’ non esisteva più: silenzi, smorfie, teste basse, sbuffi, sospiri ed è scappata anche qualche lacrima. L’unico rumore proveniva dallo spogliatoio in parte tra cori e bottiglie stappate, la consolazione, magrissima, è stata pensare che di lì c’erano ragazzi come noi, vecchi amici, che sanno giocare al pallone senza trucchi. Qualcuno l’ha detto “Se non altro meglio che abbiano vinto loro”. L’amaro è rimasto, così come è rimasta la smorfia perplessa nel sentire provenire dagli spalti ironie anche pesanti su questi racconti da chi ancora non ha capito lo spirito con cui vengono scritti (per fortuna sono stati pochissimi, anche perché per la maggior parte erano bambini, altri complimenti sinceri), il tutto è stato smorzato da questa sensazione di sincera ammirazione per chi ha vinto. A noi è scappato addirittura da ridere (invece che ‘gioire’) quando l’arbitro, ancora una volta inadeguato, ha cacciato dal campo uno di loro non si sa ancora bene perché, a pochi istanti dalla fine quando era solo tempo di festa. Non è frequente come situazione, meglio metterla nero su bianco.