di Matteo Bonfanti
I soldi danno la felicità. E non averli mette la parola fine a quelle che solo pochi mesi fa venivano definite, più o meno all’unisono, moderne favole da portare in palmo di mano. Almeno è quanto succede nel calcio. A ogni livello. L’esempio è in Serie A, ma i casi ci sono anche nel calcio di provincia. Parliamo del Parma, una vicenda che dà da pensare e allontana il dorato mondo del pallone dal resto del mondo. La storia in poche righe: Ghirardi, tra l’altro amico di tanti nostri concittadini di successo, nel 2013-2014 si fa prendere la mano e ingaggia una raffica di calciatori. Arriva a tesserarne addirittura duecentoventisei. Alcuni sono top player e costano un sacco di euro all’anno. Cassano su tutti. Solo per assicurarsi le prestazioni dell’ex stella di Milan e Inter il giovane presidente investe duemilioni. Poi molti altri: Biabiany, Gargano, Amauri, Mirante, Galloppa, Paletta, Lucarelli che non sono fenomeni, ma buoni giocatori e che, quindi, vengono pagati bene. E poi c’è il mister, Roberto Donadoni, uno che ha allenato la nazionale e che non prende due cicche, quattro cipolle e tre mozzarelle di Seriate. Il Parma va forte e centra l’Europa. Accumulando debiti. E, come spesso capita, il giocattolo si rompe. Da qui il tema del giorno: ad agosto la rosa resta (quasi) la stessa eppure la squadra sprofonda in classifica. Perde sempre. E la ragione sono i soldi. Se terzino, mediano e trequartista non prendono lo stipendio, non s’impegnano e diventano brocchi. E qui c’è la prima differenza con gli altri lavoratori. Che, con l’azienda in crisi, sono disposti ad andare in ufficio o in fabbrica gratis pur di salvarla.
Nel calcio non si fa. Neppure con chi ti ha riempito di denari l’anno prima, elargendoti stipendi che ti permettono di vivere bene da qui al 2025. Non si butta il cuore oltre l’ostacolo per la piazza che ti ha venerato, per la maglia che ti sentivi cucita addosso, per il progetto che ad agosto ti trovava entusiasta, per la città che ti ha accolto e coccolato. Si scende in campo e si gioca. Ma al ribasso. Perché l’impegno è un altro, quello di far trovare al proprio procuratore una società per quando il Parma salterà in aria definitivamente. Che dire? La delusione è solo ed esclusivamente per i tifosi, traditi sia dalla dirigenza che dai calciatori. Che per la gran parte sono mercenari.
Veniamo a noi, a quel che succede coi rimborsi. Da quanto ci raccontano gli addetti ai lavori dietro ai pesanti ko delle prime della classe, spesse volte, non c’è la giornataccia che racconta l’allenatore ai nostri cronisti. Ma gli euro promessi, che non arrivano più. Ovviamente in Serie D, in Eccellenza, in Promozione e in Prima. In Seconda e in Terza gli euro che girano sono talmente pochi che non fanno cambiare il rendimento ai vari titolari.
E’ il pallone. Che si è estremamente indurito. Che non ha bandiere né sentimenti e che non è un gioco, ma una macchina da soldi. Quando finiscono, non resta più niente.