di Federico Biffignandi

Il calciatore dilettante non sa cosa sia la domenica. E’ inevitabile. La conosce come giorno della settimana a sé, come quel giorno che ruota intorno alla partita ma non concepisce la domenica come giorno di festa, senza lavoro, il giorno in cui stare con amici e famiglia, per un giro in montagna, o al lago o al mare d’estate. Non è concepito nemmeno come il giorno in cui poltrire sul divano da mattina a sera, dall’anticipo di pranzo fino ai sermoni saggi e colti di Mario Sconcerti delle 00.30, perfetti per addormentarsi sereni grazie al suo tono di voce pacato e senza perdere tempo continuando a nutrirsi di calcio fino all’ultimo secondo della giornata. Per il calciatore della domenica, la domenica non è solo “la partita”, troppo banale, troppo scontato. E’ di più, è tutto ciò che ruota intorno alla partita e che contribuisce a differenziarlo da tutti i ragazzi, suoi coetanei, che vivono il weekend da persone “normali”. Quello che ruota tutto intorno alla partita, si sa, inizia (o dovrebbe iniziare) già dall’aperitivo del sabato, quello in cui ti trovi con gli amici o i compagni di squadra prevedendo la partita del giorno dopo, rispondendo alle domande (più infime di quelle di Enrico Varriale) degli amici stessi pronti a stuzzicarti su ogni minimo dettaglio che riguarderà, secondo loro, la tua prestazione e quella della tua squadra. E così, anche se decidi di non pensarci troppo, sei costretto a entrare in clima partita terminando quell’aperitivo – che nel frattempo è diventato anche cena – ben prima degli altri che rimangono al tavolo a ridere e scherzare fino a notte fonda. E anche la domenica diventa una giornata scandita dai ritmi e dalle abitudini: non c’è la colazione delle 11.30 con cappuccio e brioches al bar del paese, non c’è il timore dei compagni che ti guardano negli occhi per capire che ore hai fatto la sera prima. C’è, invece, la colazione presto, magari una breve passeggiata per iniziare a richiamare all’ordine i muscoli, il continuo osservare l’orologio per capire quanto manca al ritrovo e poi il triste pranzo delle 12: pasta bianca, bresaola, crostata. Due ore dopo, quando il calciatore dilettante è ormai cambiato e pronto per scendere in campo, gli amici si stanno abbuffando ad un orario domenicale con polenta, coniglio, formaggi, patate, vino, dolci, caffè, ammazzacaffè. A tavola, in famiglia probabilmente. La partita scorre e il risultato finale è in grado di scombussolare gli umori del post partita mentre gli amici che rivedi all’aperitivo della domenica al massimo sono amareggiati per la sconfitta della propria squadra del cuore, o perché hanno perso la schedina per la celeberrima “una sola partita” o, alla peggio, perché il centravanti di fiducia schierato al fantacalcio ha sbagliato il rigore. Più spesso sono entusiasti perché hanno passato una giornata spensierata tra amici o con la ragazza in qualsiasi posto del mondo. Già, la domenica spensierata, questa sconosciuta per il calciatore dilettante che sin da quando aveva 6 anni non ha mai saputo cosa fosse quel settimo giorno della settimana, inteso come lo intendono le persone comuni. Ma ci sono casi eccezionali durante la stagione calcistica in cui anche il calciatore dilettante sa cosa vuol dire vivere la domenica in modo “comune”. E quella di domenica 8 febbraio è stata, anche per il calciatore dilettante, una domenica normale. La neve ha convinto i comitati a rinviare le partite e così tutti si sono dati alla pazza gioia contribuendo a riempire ulteriormente le strade, i luoghi turistici più noti e le piste da sci scoprendo un mondo tutto nuovo e facendo scoprire agli altri una fetta di società che alla domenica pomeriggio non scende in strada. Una buffa (perché ignota) e tutta nuova esperienza di vita in cui ogni attimo diviene una scoperta, in cui ti senti parte del gruppo di amici che ti coinvolgono nei loro programmi anche loro straniti dalla tua presenza, in cui la ragazza tira un sospiro di sollievo e in 24 ore vorrebbe fare tutto quello che non si è riusciti a fare nelle domeniche precedenti, è un’occasione per non sentirsi dire con faccia scocciata “non si può far mai nulla con sta partita”. Ci si sente tutto sommato sollevati, felici nel provare quel senso di libertà nell’organizzare la propria giornata come si vuole, contenti nel vedere gli altri entusiasti della tua presenza. Anche perché, a fine giornata, hai qualcosa di diverso dalla partita da raccontare, ti muovi più agevolmente perché le “coccole” di una giornata da uomo “comune” si sono sostituite alle botte di quel maledetto terzinaccio che ogni domenica ti tormenta. Ci si sente bene insomma in quei momenti, anche se poi (questione di vocazione e di passione) pensare di dover fare a meno del brivido unico e insostituibile della partita per un anno intero provoca un certo senso di disagio. E’ l’eccezionalità dell’evento, come sempre, a rendere lo stesso meraviglioso. Una domanda però (che vuole in fondo essere più una proposta) sorge spontanea: e giocare le partite al sabato? E’ logisticamente impossibile?