di Evro Carosi
Seduto poco distante da me a San Siro c’è un signore sulla cinquantina che si contorce dal primo minuto. Prova dolori lancinanti allo stomaco ogni qualvolta becchiamo un gol. Urla, si agita e soffre, come se l’Inter fosse la sua ragione di vita. Tra tutto e tutti lo spettacolo che offre è decisamente il migliore. Per chi gli è seduto vicino, è piu’ famoso di Guarin e Palacio messi assieme. Purtroppo il suo è solo un esempio di come il calcio possa rovinare le persone in modo irreversibile.
Abbiamo visto famiglie ricchissime – i Sensi ed i Moratti – dilapidare come ludopatici i loro patrimoni. Nelle categorie minori, piccoli imprenditori hanno fatto lo stesso. Anche io amo questo gioco, ma quel che non ho mai scoperto è cosa spinga all’eccesso. Forse è azzardato il paragone con la Roma antica. Calciatori come gladiatori, il pubblico come popolo che gode dello scorrere sangue. Resta da capire perché il tifoso si schieri a difesa della squadra come fosse la patria. Forse la voglia di combattere è nel nostro Dna. Se così fosse, il fatto che il fenomeno calcio si stia estendendo a paesi storicamente interessati ad altro dovrebbe preoccuparci. Un primo segnale arriva da Madrid, dove la squadra del Re ha venduto il crocefisso agli arabi per poter pagare stipendi dagli importi offensivi. E cosa dovrà accettare il Milan che per stemma porta addirittura il simbolo delle crociate? In nome del risultato vendiamo la dignità come giocatori d’azzardo. Anche questa è guerra.
Nel calcio dei piccoli, dove si è sempre predicato bene e razzolato male, una regola esisteva : “Il risultato non conta e non c’è classifica”. Applichiamola ai professionisti.