Tramite Bergamo & Sport voglio provare a descrivervi la produzione di palloni e guanti, spero di essere chiaro e di non mettervi in confusione.
Per giocare a calcio servono: scarpe, pallone e guanti da portiere. Il resto è un optional, nel senso che  in una partita tra amici le divise non sono obbligatorie.
Per le scarpe da calcio noi italiani siamo stati per anni i migliori produttori al mondo ma per i palloni bisogna andare in Pakistan ed è da qui che vi sto scrivendo.
Oggi vi porto con me ma prima analizziamo brevemente il presente e un po’ di storia.
Da sempre i palloni sono prodotti in Pakistan, una volta erano in cuoio, poi in pelle, oggi si gioca con palloni prodotti con materiale sintetico e suddivisi in diverse fasce di qualità , i palloni pregiati in PU (poliuretano), quelli economici in PVC, idem per il tipo di cucitura, a mano quelli pregiati e a macchina i più economici.
Ora vi faccio fare un viaggio dove nascono i palloni e si fatturano centinaia di milioni di euro ma ci si muove su carri trainati da asini, cavalli o bufale.
Per avere il visto d’ingresso in Pakistan ho dovuto recarmi due volte al consolato pakistano a Milano. Dopo un colloquio in inglese con il Console mi hanno rilasciato un permesso di entrata libera per cinque mesi, ero preoccupato dalle ultime notizie provenienti dalla mia destinazione: guerriglia, sequestri di occidentali e un alluvione che ha causato oltre 300 vittime e 50.000 senzatetto.
Sono partito lo stesso, la voglia di conoscere è più forte di me.
Prendo un volo Milano-Dubai, sosta di sei ore e poi Dubai-Sialkot.
Atterro nel Punjab alle 8,00 del mattino, esco dal controllo doganale alle 10,00.
Sono a soli 10 chilometri dal confine con l’India dove gli scontri a fuoco sono la consuetudine.
Subito mi manca il fiato, 46 gradi e umidità all’80%, impressionante.
Viene a prendermi Abdul con la sua schiera di sudditi, mazzo di fiori e tre macchine, io salgo sulla centrale mentre la prima e seconda auto servono per scorta armata.
Dentro di me penso: “Figa, compro palloni, è assurdo viaggiare con la scorta”.
Mi tranquillizzo e mentre ci avviciniamo alla città mi rendo conto che sono in un altro mondo, noto una coda interminabile al benzinaio e mi spiegano che è aperto solo due giorni la settimana, il traffico è indescrivibile, le corsie non hanno una direzione: qui ognuno va dove vuole. Il mezzo più usato è la moto su cui trasportano di tutto, poi carri trainati da animali, i “cin cis” (una sorta di Ape car rally) a seguire auto, camion e bus, questi ultimi due decorati a mano con colori sgargianti e scritte religiose.
Attraversiamo la città in mezzo a un caos mai visto, sui marciapiedi sono parcheggiati pecore, capre, vacche, asini e cavalli.
La strada è larga a quattro corsie, l’inversione a U deve essere uno status symbol perché la fanno spesso, in cielo girano tanti avvoltoi che poi vedi ai bordi della strada padroni delle montagne di immondizia.
Dopo un’ora arriviamo alla prima fabbrica delle dodici che visiterò .
La prassi é questa, telefonata che stiamo arrivando, due colpi di clacson davanti al cancello blindato e poi le guardie armate aprono e ci fanno entrare. L’immobile è imponente ma decrepito, tutto intorno c’è il muro di cinta alto tre metri e protetto dal filo spinato, i vetri del capannone avranno venti anni e non hanno mai conosciuto il Vetril, dovrei andare in bagno ma la tengo.
Dopo l’accoglienza con the e biscotti finalmente vediamo la produzione.
Stanno producendo il mio ordine di diecimila palloni con consegna marzo 2015.
Per i miei palloni ho scelto i migliori materiali, così per la prima volta vedo produrre un mio pallone dalla materia prima. Mi danno una maschera antigas e mi accompagnano nella stanza della spalmatura/laminazione, la prima fase di produzione. Qui il tessuto JTPU4F (poliuretano giapponese, quattro strati) viene steso su un tavolo e viene spalmato con una schiuma dall’odore insopportabile (tipo ammoniaca): nonostante la maschera mi vien da vomitare. La tela spalmata viene poi stesa sul tetto ad asciugare alla luce del sole, per una buona qualità è necessaria l’asciugatura naturale .
Una volta asciugato, il telo viene messo sotto una pressa dove vengono tagliati i pentagoni e fatti i fori per la successiva cucitura.
A questo punto sui vari pentagoni vengono serigrafate a mano le varie grafiche. L’esterno del pallone è pronto da assemblare.
La parte interna è formata da una camera d’aria con valvola, le migliori sono in butile, quelle economiche in lattice.
Naturalmente i miei palloni hanno la camera d’aria in butile .
Chiedo di veder cucire il pallone, detto fatto si sale in macchina e dopo tre ore di viaggio in mezzo alle campagne e colline arriviamo a a Kandaar,  un villaggio di duemila abitanti dove tutti fanno lo stesso lavoro: cuciono palloni da calcio. All’ingresso del paese c’è un cartello con scritto: “Kandaar Stiching Center”.
Ci fermiamo a pranzo sotto un autogrill locale (un tendone) dove il cuoco ci prepara un bbq  e dell’insalata condita con una salsa alla menta. Il sapore non mi piace ma con questo caldo la freschezza della menta è una goduria, per il bbq …. lasciamo perdere.
Entriamo nel villaggio e visitiamo una decina di case private, nelle stanze
solo gli uomini adulti a partire dai 16 anni cuciono, i più giovani e forti lavorano i palloni più cari, mi hanno detto che ci vuole forza per chiudere i nodi. Muniti di due ditali e due aghi assemblano il pallone in due parti, la cucitura viene fatta con l’aiuto di due tavolette di legno che servono per tener fermi e uniti i pentagoni, poi le due metà pallone vengono unite, viene inserita la camera d’aria e poi i palloni vengono portati nello stanzone dell’ultimo nodo.
Le donne – tutte con il velo – fanno solo il lavoro di conteggio dei pezzi e l’imballo.
Ora i palloni ritornano a Sialkot in fabbrica dove inizia la fase di packaging per la spedizione.
Ogni pallone viene gonfiato e lasciato in ferma per 96 ore, poi uno a uno vengono lavati a mano con acqua, sale e sapone, vengono messi ad asciugare in un forno ad aria calda, vengono sgonfiati uno a uno sotto una pressa e infine vengono imbustati pronti per la consegna.
Le fabbriche sono di proprietà di famiglie che da generazioni fanno questo lavoro, ogni fabbrica conta circa 200 operai e l’unico lavoro esterno che viene fatto è la cucitura a mano che viene svolta in un centinaio di villaggi.
Si è fatta sera e alle 20,00 arrivo in hotel. Anche qui la stessa storia, muro di cinta, guardie ecc., prima di entrare in reception vengo perquisito e questo succederà poi ogni giorno. Prendo una suite, sono soddisfatto: è grande e pulita con un bel bagno, al mattino per colazione posso solo gustare il the e qualche biscotto, il resto è inguardabile.
La mia giornata tipo inizia con la pseudo-colazione, un controllo a mail e sms e poi attendo il primo fornitore che mi farà visitare la sua azienda e dopo due-tre ore mi accompagna da un altro e così via per quattro visite al giorno.
La sera è obbligata in hotel in quanto c’è il coprifuoco dalle 21.00 alle 5.00, quindi sigaretta in terrazza con un libro. Niente alcol – é illegale – e per una birretta rischi di non tornare più a casa.
Oggi è il mio ultimo giorno di 6 passati qui e sono stato a visitare una fabbrica di guanti da portiere.
Come per i palloni, il tipo e la provenienza delle materie prime danno il valore al prodotto.
La prassi di produzione inizia con la scelta del lattice per il palmo (quella tedesco è il top) mentre per il dorso della mano oltre al tipo di lattice si decide anche che forma e disegno fare.
Scelta la grafica, il lattice viene tagliato con una pressa a stampo, il dorso viene serigrafato con i loghi scelti, poi viene pressato per creare le scanalature richieste.
I due pezzi di lattice tagliati vengono portati al dipartimento confezione, qui vengono cuciti a macchina e assemblati con il tessuto per la parti flessibili delle dita, viene cucito un polsino elastico, l’etichetta e la chiusura in velcro.
Il montaggio del guanto viene eseguito da un unico operaio che li finisce.
Gli accordi che ho preso sono ottimi, da oggi potrò proporre alle squadre il pallone o il guanto personalizzato con il proprio logo con un minimo di soli 50 pezzi.
Questo viaggio mi è servito anche per prendere accordi con gli spedizionieri: con le tariffe abbordabili che ho pattuito avrò una consegna dal Pakistan all’Italia in soli tre giorni.
Un’altra buona notizia è che oggi a Sialkot hanno tolto il coprifuoco e questa sera uscirò a piedi e solo, devo fare acquisti per mia moglie e per le Onis Angel’s .
Spero di non avervi annoiato, da Sialkot è tutto.
Sersao

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