Come mi capita una volta su due l’altro ieri mi ero messo a scrivere qualcosa di assurdo, comprensibile solo a me e all’altro paio di comici spaventati guerrieri rimasti nella Bergamasca. Partendo da assai lontano, tentavo di tracciare una linea tra i sogni buoni e quelli cattivi, citando, in ordine di apparizione, il mio amico Evro Carosi, il signor Zingone, il conte Mario Bagno, Che Guevara, Fidel, Adolf Hitler e Mussolini. Il tutto perché sabato sono andato al concerto degli Area a Zingonia, mi sono divertito un sacco ed era giusto fare sul giornale una recensione coi sacricrismi e quindi diversa dal solito, da quelle che dicono: “Quanto è bravo il chitarrista, il batterista è un fenomeno e il basso tiene in piedi l’intera baracca nel migliore dei modi, di soppiatto, senza che il pubblico se ne accorga. E c’è un tastierista che pare suoni il piano sull’Oceano”.
Arrivato alla seconda pagina di word, mi sono accorto che stavo giocando con le parole e, quindi, coi lettori. A noi giornalisti succede: ci piace un pensiero, come suona tra l’universo e il cuore, e ciò ci porta ad andare avanti in modo balordo, scrivendo una serie di incredibili minchiate. E una tira l’altra perché il tunnel dove ci siamo infilati va arredato con ogni possibile optional che, magari, ci gira da dieci minuti a zonzo nella testa. Ed è lì che ci si accorge dell’importanza della redazione dove, a turno, qualcuno alza la mano per porre fine a quel libero delirio che è il tuo articolo, convincendoti che è troppo anche per un giornale libero come il nostro, l’unico che non ha padroni. Tornato alla realtà grazie ai colleghi, vi parlo di sabato sera tralasciando comunismo, nazismo, la vicenda di Consonno, quella di Zingone.
Sono arrivato alle sette di sera e mi sono innamorato perdutamente di Zingonia perché mi pareva di essere a Dakar, nel centro cittadino di una nazione dell’Africa sia per il colore della pelle della gente che c’era, sia per come queste persone occupavano lo spazio, casualmente, con estrema leggerezza, come se il tempo non avesse la benché minima importanza mentre a me hanno insegnato che è prezioso perché è denaro.
Poi, verso le nove e mezza, sono arrivati gli Area, che Zingonia l’hanno vista nascere. Ci hanno abitato all’inizio della loro avventura musicale per sei mesi, ci hanno scritto le loro canzoni migliori, quelle contenute in Arbeit Macht Frei, pubblicato nel 1973, quando un’altra Italia era davvero possibile perché l’immaginazione era al potere. Paolo Tofani, Ares Tavolazzi, Patrizio Fariselli e il compianto Demetrio Stratos ne avevano a bizzeffe. E forse ce l’hanno ancora o, cosa più facile, l’hanno persa per strada perché sono diventati vecchi. Ne so troppo poco, di loro conosco una manciata di pezzi, quelli indimenticabili, suonati meravigliosamente sabato in Piazza Affari davanti a un popolo, quello nero, che non ha la benché minima idea di cosa sia stata la rivoluzione progressiva realizzata dagli Area. Due anime: i musicisti che hanno fatto la storia, considerati, riveriti, addirittura citati da Rolling Stones, sul palco di fronte agli extracomunitari che sono i diversi, gli sfruttati, gli offesi. Così lontani, così vicini. Perché gli africani il cambiamento ce l’hanno nel sangue e non hanno paura di partire in cerca di una vita migliore. E la poetica degli Area è questo, è soprattutto una ricerca.
L’incontro è stato magico: dolce, elettrizzante, folle, come dovrebbe essere la musica, come non lo è più ed è per questo che di dischi non se ne vendono manco a piangere. Regista dell’appuntamento di Zingonia un uomo affascinante perché ha la cultura di Fariselli e compagnia suonante e il senso di libertà di chi abita le torri Anna e Athena. Si chiama Evro Carosi. E’ uno scrittore parecchio bravo, suona la chitarra divinamente ed è anche un brillante imprenditore. E’ tante cose insieme proprio come la notte di sabato. Che lui ha reso possibile, finanziandola. Ha realizzato il suo sogno, un sogno buono.
FOTO TRATTE DA www.area-internationalpopulargroup.com