“Profe, profe, posso farle una domanda un po’ personale? Che non c’entra con quello che ci insegna…”, lui, un mio alunno, quindici anni, bellino forte, sveglio, bergamasco d’Africa come il novanta per cento della mia prima superiore a Brembate Sopra. Io, che il titolo non me lo sento addosso, del resto ho appena iniziato e faccio giusto una manciata d’ore la settimana, mentre gli spiego com’è costruita la redazione di un quotidiano, l’argomento della mia lezione, “ragazzi, è un bel casino, si è in tanti, tipo una classe, ci sono quelli della cronaca nera, seri serissimi, quelli dello sport, tutti abbastanza scemetti come me, gli altri degli spettacoli che stanno un botto a chiacchierare alla macchinetta del caffé, quelli che si danno un sacco di arie perché seguono la politica…”. Lui, che non molla, “professore, ma dopo ci parla anche di lei?”. E io, “di lei chi? Dici lei, lei, la mia lei, lei la mia ragazza?”, e lui, “no, prof, lei lei, lei, lei profe”, e io, che per lavoro do sempre del tu e in più non sono un insegnante, ma un giornalista, “lei profe sono io?”, e lui, definitivo, “sì, lei sei tu, il nostro professore…”, e io, grato e lusingato, “ma, dai… Però chiamami Matty o Matte così la prossima volta facciamo prima che so che sono io e ci evitiamo questo valzer di lei che bacia lui che bacia me che bacia lei”. Intanto si avvicina la campanella, io, da fumatore di un discreto livello, quindi abbastanza in ansia, vedo la luce, tre minuti e avrò la sigaretta in bocca, lui, il mio studente, incuriosito dai miei capelli e dalla naturale dolcezza dei miei occhi, non molla, “allora, Matty-profe?”, e io, ormai a settantasette secondi dal pacchetto di Marlboro Gold, dal giardinetto e dalla nicotina, “spara, ma al volo”, e lui, sorridente, soddisfatto, “prof, cosa pensa dei gay?”, e io, per la prima volta con la totale attenzione addosso, capace che se sbaglio la risposta, me li gioco tutti e venti, “non è una questione che mi interessa sapere con chi uno va a letto la sera. Non giudico le persone dal fatto che amano un uomo o una donna, saranno anche cose loro. Le scelgo e le cerco se mi vogliono bene, se ridono e scherzano con me, se ci sono quando ho bisogno, se hanno dei pensieri che mi rendono migliore, se sono avventurose, spiritose, leggere e profonde, insomma complici”. In classe parte il dibattito, una raffica di nuove domande, si sveglia chi dormiva, chi stava su instagram e chi a chattare su whatsapp, il tema intrippa parecchio, del resto l’età è quella della scoperta di questo meraviglioso mistero, che siamo tutti uguali rimanendo tutti diversi, “quindi, profe, ha molti amici gay?”, “profe, lei è mai stato con un uomo?”, “profe, e le lesbiche?”. E spiego ai miei ragazzi che l’amore conta e che non c’è un amore giusto e uno sbagliato, c’è chi ti fa venire i brividini quando ti passa accanto, avvertendo fortissima quella connessione unica al mondo. E l’intervallo passa in un battibaleno, rinuncio alla mia sigaretta, e penso che ci sta, faccio i due lavori migliori al mondo, il giornalista e l’insegnante, e sono un uomo fortunato pur in pesante astinenza da nicotina.
Matteo Bonfanti
Io in classe, foto di un mio alunno super, di prima