Per motivi personali e per motivi familiari, che poi sono le due frasi che ho scritto di più in vita mia, almeno cinquecento volte tra la prima e la quarta liceo, sempre attribuendole a mio padre, Marco Bonfanti, sono stato tre giorni a casa di mia mamma, la Vale, e di suo marito, Erni. Non mi sto giustificando per essere aumentato tre chili in altrettante serate, tornando ai soliti 92, del resto sono maggiorenne da quasi trent’anni e poi il libretto verde pisello che avevo allora, sezione B, Liceo Scientifico Gb Grassi, non ho la minima idea di dove possa essere finito, dico in quale cassetto di quale cassettiera di quale casa di quale città di quale nazione. Per uno zingaro come me ritrovarlo potrebbe essere assai complesso, da spenderci dei mesi. Così ci metto la mia firma e racconto onestamente le mie ultime settantadue ore, tutte o quasi da mammà, una tipica mamma italica, questa cosa unica e pericolosissima se si è nel mezzo di una crisi e nel frattempo si sta tentando una dieta, ma che è anche il viaggio più figo che abbiamo noi italiani, l’elemento che ci rende il popolo perfetto al mondo, perennemente a tavola, a dimenticare, in pari perché pieni, in alto a sinistra, tre passi sopra il cielo. Per gradi, iniziando dal tema, l’amore, la fame e la bilancia, parole che non possono andare d’accordo. Ogni madre del Bel Paese, tipo la mia, che è nativa di Bologna, se solo vede uno dei suoi figli a un tiro di schioppo, gli infila in bocca un panino con la mortadella. Non mento, c’è la foto della Pandona Aranciona a metano a dimostrarlo, una maghina che pare diventata un frigo bar per via di un kiletto di tagliatelle buonissime che la Vale ha fatto in mattinata e che ora sono felicemente stese sui sedili dei passeggeri. Poi, nel baule, infilati di soppiatto, sette pacchetti di patatine, cinque chili di ragù da urlo (“così durante l’Atalanta ti fai uno spuntino”), sette tartarughe del fornaio di Valgreghentino, quattro formaggi del Filet (gorgonzola, branzi, mozzarella di bufala e taleggio), due bottiglioni di pesto freschissimo e una padella. Questo dopo che mi ha ingozzato, spesso a forza, nelle ore passate da lei con pietanze da sogno, impossibili da non finire, facendo la scarpetta, godendone un po’ troppo. Ancora più importanti le parole tra di noi, talmente dolci che a raccontarle aumento un altro chilo perché hanno il valore calorico di tre krafen alla Nutella, quindi evito. E le nostre serate, quella cosa meravigliosa che è stare con i propri genitori, lo stesso con mio padre, Marco, l’uomo citato poco sopra, riguardo alle mie assenze e ai miei ritardi a scuola. Succede che mi piace parlare a vanvera con i miei guardando la luna piena che c’è questa settimana, elencandogli mille cazzate per cui mi starebbe andando tutto bene, sapendo che loro mi conoscono alla grande, del resto mi hanno fatto, e sanno per certo che sono in un momento abbastanza incasinato. Capita. Passa. Serve. Migliora. E le ragazze non piangono mai. E c’è pure il fatto accertato e rincuorante che la vita non è un film. E i miei problemi non sono manco un argomento da scrivere perché sono normali, accade a tutti che arrivi un momento da vivere tra i banchi di nebbia messi in piedi dalla propria anima, isole in cui magari è necessario provare quell’attimo a crollare per poi ricominciare con più forza. Il dubbio è solo uno, se in quel mese è meglio stare soli soletti, magari intristendosi definitivamente vedendosi dei serial killer su Netflix, o tornare nella casa natale a farsi coccolare. Da mammà, che è unica, tra i pochissimi ripari, forse la sola a saper trasformare il sale in pane, ma che tende un sacco a farci ingrassare.
Matteo Bonfanti
Nella foto: le tagliatelle ora sui sedili della mia Panda