di Matteo Bonfanti
A Pasquetta sono arrivato in redazione che era tardissimo. Ero a pranzo coi miei in un agriturismo in collina, eravamo una ventina e io ero l’unico sia ad avere un po’ di fretta che a non avere la macchina. Il posto era assai carino e io sto a Bergamo, loro a Lecco e non ci vediamo mai: così ci siamo seduti a tavola che era l’una e ci siamo alzati che erano passate le cinque. Dovevo essere in redazione alle tre, ho iniziato a lavorare alle sei e mezza, fuori dall’ufficio era quasi buio, dentro non c’era più molto da fare. Il calcio dei grandi era fermo, il ciclismo pure perché aveva piovuto e Marco e Monica, nel pomeriggio, avevano impaginato il poco che restava del giorno: molto basket, un paio di tornei, la ripresa del ko dell’Atalanta. Mancava giusto la prima pagina. L’ho fatta, ho messo due foto di altrettante miss e alle dieci avevo bello che finito con oltre tre ore d’anticipo rispetto alla solita chiusura del giornale.
E allora con Marco abbiamo preso la strada del centro. L’abbiamo fatto per motivi diversi. Con moglie e figli in vacanza al mare, io sognavo una delle mie notti mitiche, l’ultima vissuta dieci anni fa: mi ubriaco e sono fradicio, il barista tenta di convincermi ad andare a letto, ma vede che non c’è nulla da fare, s’incazza, mi fa vedere i pugni e mi metto a ridere a crepapelle, allora tira fuori una pistola che è finta e spara acqua, ma mi spaventa lo stesso e, finalmente, me ne vado, ma non a casa, dal briosciaro perché nel frattempo mi è venuta una fame pazzesca e le quattro di mattina sono, per me, ancora un orario onesto e sento che è il caso di fare la famosa “lunga” (al lavoro il giorno seguente senza manco un’ora di sonno) e l’obiettivo diventa chiudere le danze almeno a mezzogiorno, cotto e coi puntini in faccia.
Marco, invece, se si muove con me è per accompagnarmi. Siamo colleghi, ma soprattutto amici e dopo che un mese fa mi sono schiantato in moto, teme che ora mi faccia tirare sotto da un’auto. Quindi controlla che arrivi a destinazione sano e salvo, dedicando la massima attenzione quando attraverso la strada, ricordandomi a ogni incrocio di guardare che a destra e a sinistra non passi nessun veicolo. Insomma mi fa da cane guida, il classico pastore tedesco in dotazione ai ciechi, ma in più parlante e in più ancora simpatico. Va detto: Marco è un’incredibile figata per un mezzo infortunato come me.
Eravamo in via Venti, erano le undici ed era una sera di festa. Non c’era nemmeno un bar aperto e in giro non c’era anima viva. Pareva Sin City. Avanti, il Sentierone era lo stesso. Allora ci è partita l’immaginazione. Fossimo qui, in queste strade meravigliose, ma con i locali di Amsterdam: i coffee shop, le puttane (che in Olanda pagano le tasse) in vetrina, i pub aperti ventiquattro ore, il neon dei supermercati che non hanno la serrata perché non la contemplano. Sarebbe meglio o peggio? Sarebbe una speranza perché il divertimento dà un sacco di lavoro che da noi sembra non esserci più. C’è un’intera generazione che non ce l’ha ed è quella nata un po’ dopo di me. Quei ragazzi non sono migliori o peggiori dei quarantenni o dei sessantenni, se sono disoccupati oppure eternamente precari o se fanno tre lavori per mettere insieme settecento euro, è perché l’hanno deciso i nostri politici. Che problemi di soldi non ne hanno.
Da dieci giorni in via Santa Caterina c’è un brutto clima. Non parlo della retata che c’è stata, una parola che solo a dirla mi mette i brividi di paura. Mi spaventa anche il sindaco Tentorio che ho sempre reputato una persona tranquilla. In campagna elettorale si è messo a fare la gara del pugno di ferro con l’altro candidato di destra, quello del Pd e di Mediaset, Gori. L’uno fa i sette punti anti movida, l’altro, quello ancora in carica, lo copia: un’ordinanza e i titolari chiuderanno prima.
A Bergamo, questa volta, le elezioni comunali sono importantissime. Perché non c’è in ballo solo una fascia tricolore da esibire quando ci sono il matrimonio tra due vip o la parata dei cadetti della Guardia di Finanza. C’è di più: volendo, c’è una generazione che si può salvare o, quantomeno, parecchio aiutare. E il peccato originale è che a dover decidere se mettersi o meno in quest’impegno siano Tentorio e Gori, due uomini ricchi sfondati che certi casini economici non li sentono sulla pelle, ma neppure nelle chiacchiere col vicino di casa perché entrambi abitano nel quartiere che coniuga la bellezza del passato ai comfort del futuro e lì di poveri cristi non se ne vedono. Certe angosce legate allo stipendio non si materializzano sull’Ipad in regalo col Suv di ultima generazione, ma si notano tra i passeggeri del pullman di linea che i due candidati a sindaco non prenderanno mai. Sono tra chi si divide l’appartamento in cinque e non sono più solo i marocchini, ma un sacco di bergamaschi che per l’affitto hanno da spendere 150 euro al mese. Se sforano, rinunciano a comperare la carne e vanno avanti un mese a mangiarsi piatti di rigatoni col burro e il grana della bustina.
Fossimo ad Amsterdam, capitasse il miracolo che Tentorio e Gori lasciassero stare le lamentele dei residenti e si concentrassero su chi la casa di proprietà non ce l’avrà nemmeno tra novant’anni. Pensassero, una sola volta, a come fare arrivare a Bergamo i turisti che a migliaia atterrano a Orio al Serio. Adesso vanno tutti a Milano. A divertirsi. I nostri candidati (entrambi eccellenti nelle rispettive occupazioni) inventassero un modo per farli fermare da noi. E’ una cosa tanto semplice che ci arrivo anch’io. E una decina di consigli glieli do: si studiassero un centro perennemente vivo, un aperitivo solo orobico da bere in ogni bar, una via Santa Caterina dove si va a ballare fino al mattino, una Città Alta con un festival di musica indipendente al chiuso in inverno e in autunno, in piazza in primavera e in estate. Mettessero gli acrobati e chi suona sul Sentierone e cinque alberghi a poco nella zona della stazione per gli inglesi, gli svedesi e gli olandesi.
Farebbero solo qualcosa di buono, quel che dovrebbe essere l’obiettivo di chi fa politica. Creerebbero, insomma, dei posti di lavoro. Non tanti quanti promessi da Berlusconi quando era spesso a firmare carte da Vespa, ma abbastanza per fare ripartire Bergamo e i suoi figli.