di Evro Carosi
Prima di raggiungere un particolare punto della costa tirrenica, anche bendati, ci si sente immersi nella macchia mediterranea. Appena superato quel punto, si apre una grande baia. Lì le onde lottano contro la terra ferma. Spaventano la scogliera colpendola con cattiveria. Ruggiscono come leonesse. La risacca prende la rincorsa per dar modo al cavallone di scatenare tutta la sua forza e lanciare verso la terra una nube di schiuma bianca che ridisegna un nuovo ed effimero confine. Ad immaginare quell’assedio, un pomeriggio di primavera, c’era Virginia. Mentre attendeva che l’onda più alta conquistasse l’intero promontorio, pensava ad un amore.
Era stata lei a volere che quella storia finisse. I ricordi erano confusi. Le immagini, poche e sbiadite.
“Non sarei rimasta con lui. Non poteva durare…”. La furia del mare per un attimo si placa. S’accorge di non essere osservata e aspetta prima di colpire ancora.
“Stavamo bene insieme…forse, ero troppo piccola”. Ora anche il vento ascolta silenzioso. “Perché non è tornato da me?”. Il profumo dei cespugli prende il posto della salsedine. ”Non l’ho mai capito. Non l’ho saputo amare”.
Virginia, la notte prima, aveva fatto un sogno. In un’osteria del paese che ben conosceva, aveva ordinato un bicchiere di vino. Già al primo sorso si era sentita felice come mai. Entusiasta, decide di ordinare un secondo bicchiere. Questa volta, però, il vino non sa di nulla. ”Quello che hai provato prima era il vino della felicità”. Rispose il vecchio e barbuto oste allo stupore della ragazza. ”Allora, ne porti un altro bicchiere”, disse Virginia. ”L’ho già fatto! A te sembra diverso, ma è spillato dalla stessa botte. Fortunato chi sa amare e non sposa la ragione”. Al risveglio la donna cerca di ricordare il sogno – vorrebbe riprovare quella dolce sensazione.
Si alza pensando ad una domenica pomeriggio di pioggia. Davanti alla balera da una piccola Fiat scende una coppia. Vanno verso l’ingresso a passo deciso. Loro ballano bene e gli altri lo sanno. Alfredo è un bell’uomo di qualche anno più grande di Virginia, biondina dal fisico nervoso. Sono una coppia anche nella vita. Si esprimono ballando. Poche parole, molte figure di boogie. Fuori tira un forte vento di rinnovamento. Sono i tempi della controcultura.
Chi all’epoca li vide, li ricorda bene. Con segnali incomprensibili lui guidava la danza lasciando a Virginia qualche assolo. Non erano stati ingaggiati per dare spettacolo – erano clienti come tutti gli altri.
Virginia cercava riparo all’ombra di quell’uomo. Respirava aspettando la domenica. Aveva una gran voglia di vivere, e la sua vita era tutta in quella balera di provincia.
Alfredo era figlio di ortolani e Virginia figlia di un ricco industriale del posto. I genitori di lei cercavano in tutti i modi di convincerla a lasciarlo. Avrebbero voluto vederla accanto ad un ragazzo di buona famiglia o almeno istruito al punto da poterla, un giorno, aiutare in azienda. Ci provarono con parole, regali e viaggi. Ci riuscirono.
Pur non richiesto lo show inizia. Tutto fila liscio, fino a quando Virginia interpreta con troppa libertà la figura numero tre, quella inventata da Alfredo. Lui era solito preannunciarla facendo roteare in aria il braccio destro come un baialor.
Virginia si inventa una mossa di troppo. Per un attimo si sente protagonista o forse pensa già ad un altro. Alfredo si gira e non la trova al suo posto. Nemico dell’imprevisto, il giovane rimane piantato in mezzo alla pista. Stampata in volto una smorfia malcelata da un sorriso. Senza salutare, se ne va.
Da quella domenica nessuno li rivide insieme. La più bella coppia della balera si era sciolta. Il vero amore, se c’è, lotta fino alla morte. Per questo mette paura, e lei lo sapeva. Di Alfredo non si seppe più nulla, fino a quando trent’anni dopo morì.
E’ sera. Virginia, ora molto anziana, si alza dallo scoglio e si avvia come ogni giorno verso quella osteria. Sospirando ordina un bicchiere di vino e racconta ai figli dell’oste i segreti della figura numero tre.