Riportiamo i capitoli che il direttore Matteo Bonfanti ha dedicato a Cristian Bellina nei nostri libri: “Piccole e bellissime storie di grandi attaccanti”, volume che racconta trenta grandi campioni del calcio bergamasco fotografati nella stagione 2015-2016, e “La gente del calcio”, volume che racconta la storia di cinquanta società del nostro pallone.Piccole e bellissime storie di grandi attaccanti
A Casazza è una di quelle partite che non si sbloccano manco a piangere. I biancazzurri attaccano fin dal primo minuto, ma manca il guizzo, quell’idea meravigliosa che all’improvviso manda in porta il bomberone, regalandogli l’occasionissima che non si può sbagliare. I compagni guardano l’unico che tra loro quel guizzo ce l’ha nel sangue, nel cuore e nell’anima, fino giù ai piedi, sia quando piove e tira il vento che nelle partite baciate dal sole.
Quel ragazzo il colpo di genio ce l’ha addosso, tagliato su misura quasi fosse il vestito di un famoso sarto. La classe è con lui dai primi interminabili pomeriggi passati a sfidare suo fratello Maicol, sotto casa, a Gorlago, uno contro uno, ore e ore a scartarsi.
E’ un attimo e Cristian Bellina accontenta tutti, quelli che giocano con lui e i tifosi sulla tribunetta di Casazza. Sente che è il momento giusto per cambiare l’inerzia della sfida. Allora arretra a centrocampo e si fa dare il pallone, poi dribbla un avversario, fa fuori il secondo e arriva in area. Qui la giocata d’applausi: il numero dieci finta il tiro, facendo crollare l’intera difesa avversaria, e serve un delizioso pallone filtrante per Zamblera, che, appostato a centro area, deve solo metterla dentro per fare esplodere la gioia dei tantissimi presenti.
Questo è Cristian Bellina, il goleador, la bandiera, ma soprattutto l’assist man del Casazza, quello che un tempo veniva chiamato “Nove e mezzo”, la seconda punta dei sogni, un po’ numero dieci per via della classe e della tecnica sopraffina, un po’ numero nove per via del migliore vizietto possibile su un campo di pallone, appunto quello del gol. Dribbling che non lascia scampo, mancinaccio preciso e potente, decisivo sempre, calciatore che dà dipendenza, il più delle volte protagonista nel bene, in rarissime occasioni anche nel male. E’ successo recentemente ed ha fatto notizia, domenica 15 novembre, novantesimo minuto, rigore per il Casazza che è sullo 0-0 col Paladina. A tutti tremano le gambe, a Cristian no, perché sa di essere forte e di averne falliti pochissimi in carriera. Bellina va sul dischetto, corsa brevissima, pallone diretto nell’angolino destro, il portiere si butta e smanaccia buttando la sfera in corner.
Penalty fallito, proprio come accaduto nella finale dei Mondiali americani a Roberto Baggio, un altro talentuosissimo nove e mezzo, il campione nazionale a cui più somiglia la stella biancazzurra (che però si ispira a Marcio Amoroso, il suo idolo quando era bambino). Va detto che tra coppe conquistate, finali varie dei play-off provinciali e regionali, promozioni attese o inaspettate, Cristian Bellina è uno dei giocatori più vincenti del calcio bergamasco. Anche perché non ha paura di tirare un calcio di rigore.
Matteo Bonfanti
La gente del calcio
La gente del calcio è chi colora la mia vita da quando ho sei anni, trasformando i miei giorni di pioggia in pomeriggi interminabili, allegri e bagnati dal sole, che hanno il profumo intenso e meraviglioso dell’erba dei prati della Lombardia. Me ne sono innamorato da bimbino, la prima volta che ho indossato la divisa, gialloblù come quella del Brusaporto dei record, con Gian, il mio allenatore, che rideva sotto i baffi consegnandomi la maglia numero sette, “Teo, divertiti e dai il massimo perché d’ora in avanti e per sempre sarai l’ala destra dei pulcini dell’Aurora San Francesco”, che era la squadra del mio oratorio. Scarpe, maglietta, pantaloncini, calzettoni e parastinchi in una borsa che era più grande di me, poi la corsa giù dalle scale di casa, un secondo dopo in sella alla mia bicicletta, la bmx, a perdifiato lungo la discesa di via Ca’ Rossa per arrivare in tempo all’orario d’inizio degli allenamenti. Erano le cinque del pomeriggio ed entravo nel cancellino che portava agli spogliatoi, il mio personale paradiso.
La gente del calcio è chi gioca la domenica, il Cri, che di cognome fa Bellina ed è un concentrato di classe e fantasia, uno dei ragazzi più forti che ho visto da quando sono passato dal rettangolo di gioco alla tribuna, nel ruolo di giornalista, poi l’Andre, bandiera mai ammainata del Gorle, il Peso, mille e passa golassi in vent’anni di pallone, il Matte, che è Sora, un genio dalla bordata micidiale, quindi il Roby, per tutti il Pelle, un pallone decente a partita, un gol, senza dimenticarmi mai del Foga, numeri da Serie A, la massima fortuna di una manciata di squadre orobiche, un vero e proprio campione lì nel mezzo. Uomini meravigliosi in campo, ancora più belli dopo la doccia, vestiti normali al bar del paese, a ridere e a scherzare con l’intera squadra, da capitani navigati, pronti a coccolare i ragazzotti che fanno la regola e che si stanno facendo le ossa e che vanno abbracciati, mai rimproverati.
La gente del calcio è la poesia dei miei giorni, le donne e gli uomini che stanno al vertice del calcio nella Bergamasca, un movimento tra i migliori che ci sono in Italia. Non tanto per i mirabili risultati sportivi, che va ricordato che solo noi abbiamo la bellezza di sei club in Serie D, ma per l’idea che ci sta dietro, quella dei nostri dirigenti, di tutti i presidenti, nessuno escluso, riassunta in modo perfetto dal Gianfri, Lochis, massimo dirigente del Valcalepio, “il pallone è un dovere perché tiene lontani i giovani dalla strada, li fa crescere grandi e forti accanto ad amici leali e sinceri, tra i pochi che restano per una vita intera”.
La gente del calcio è la mia gente. Sono gli arbitri, la condizione necessaria e fondamentale, ragazzi che per pochi euro stanno a dirigere quel cinema che è la domenica pomeriggio sui nostri campi di pallone, spesso sorbendosi in silenzio le feroci incazzature di chi perde. Ma la gente del calcio sono anche i mister, quelli che mi hanno allenato come quelli che raccontiamo ogni lunedì sul Bergamo & Sport, i tantissimi miei amici, fratelli più grandi, come il Gianni, che è Cefis, o il Paolone, che è Foglio, anni e anni di Serie A con la maglia dell’Atalanta, persone che migliorano l’esistenza di chi ha la fortuna di trovarseli di fronte nel proprio spogliatoio, spesso veri e propri padri, penso al Nado, a Curioni, a Foresti e a Sanga, in pizzeria stretti stretti all’attaccante che è stato appena lasciato dalla fidanzata o a tirare su il morale al terzino sinistro che ha improvvisamente perso il papà, che per ognuno di noi è il tifoso più importante.
Amo il calcio perché amo la mia gente. E ho sbagliato tante cose nella mia vita, ma una l’ho fatta giusta, varcare quel cancellino. E restarci per sempre.
Matteo Bonfanti