Bergamo
– Esattamente 149 anni fa (il 14 aprile 1873) l’ingegnere Antonio Curò e il Dottor Matteo Rota fondavano la sezione di Bergamo del Club Alpino Italiano, seguendo l’idea di Quintino Sella che dieci anni prima a Torino aveva dato avvio a questa bellissima Associazione. Nei primi trent’anni di vita gli alpinisti locali conquistarono le principali vette delle Alpi Orobie, pur senza strumentazione adeguata, creando anche i primi tre rifugi alpini (Ca’ Brunone, Rifugio Curò, Rifugio Laghi Gemelli). Per gli appassionati ma anche per i neofiti questi nomi dicono tutto della storia recente delle ascese ai monti di casa nostra. Da 85 anni la Sezione di Bergamo è intitolata ad Antonio Locatelli. Dal 2005 la “casa” del C.A.I. di Bergamo è il Palamonti, dotato di palestra di roccia, spazi polivalenti ed un’ampia biblioteca storica sulla vita in montagna (contenente quasi 10.000 volumi ed una ricca cartografia).
Per conoscere meglio C.A.I. Bergamo abbiamo incontrato, a pochi giorni dall’assemblea annuale dei soci, proprio nel Campo Base del Palamonti di via Pizzo della Presolana, il Presidente Paolo Valoti (che nasce a Cornale di Pradalunga ai piedi del monte Misma) che ricopre l’incarico dal 2001 con la successione di cinque mandati.
Paolo, grazie per averci accolti in questa bella ed accogliente casa. Qui si “respira” aria di montagna! Raccontaci subito, come sta C.A.I. Bergamo?
“Siamo nella casa delle montagne, aperta a tutti, perché questo è lo spirito della montagna! È anche la sede della nostra associazione, la nostra famiglia di appassionati per la montagna che nasce nel 1873, direi che oggi gode di buona salute, nel senso che nella bergamasca esistono delle bellezze alpine, uno scrigno di montagne e poi perché lo spirito dei bergamaschi è uno spirito davvero montanaro. Le valli e le comunità montane sono veramente numerose e lo spirito che ha spinto il nostro fondatore Antonio Curò si è mantenuto nel tempo e addirittura rafforzato. Il tutto nello spirito di un’associazione che nel nome porta il termine inglese “club” ma di fatto è un’associazione di volontariato totalmente dedicata alla montagna in tutte le manifestazioni che essa può esprimere: cultura, ambiente, geografica, biodiversità, solidarietà, coralità, educazione”.
Quasi 150 sono tanti e sicuramente riportano alla mente innumerevoli ricordi. Cosa sarà sembrato ai fondatori Curò e Rota quando, picozza e scarponi, affrontarono le nostre cime con la responsabilità di coinvolgere i bergamaschi a scoprire meglio le montagne di casa nostra?
“Sicuramente lo spirito di scoperta dei nostri pionieri era uno spirito di novità e ricerca intrecciato dal desiderio di scoprire la montagna molte delle quali non erano state mai scalate, basti citare la prima risalita della Presolana, la Regina delle nostre Orobie è avvenuta il 3 ottobre 1870, quindi tre anni prima della fondazione della nostra famiglia di alpinisti quindi un momento in cui la conoscenza delle vette e dei percorsi per raggiungerle non erano note. Lo spirito di questi pionieri era animato da un’audacia e avventura che oggi sicuramente non sono presenti ma che hanno permesso di avviare la nascita della nostra storica e grande associazione. Lo spirito odierno non è certamente quello dei pionieri in quanto oggi le Orobie sono state scoperte tutte (e di cui abbiamo tutta la documentazione, le guide e cartine dettagliate) ma oggi rimane intatto il desiderio e l’impegno di promuovere la frequentazione consapevole delle montagne invitando soprattutto i nostri giovani a scoprire non solo questi percorsi orizzontali e verticali in senso geografico ma scoprire sé stessi, mettendosi alla prova nella fatica, per raccogliere tutte quelle emozioni e visioni che danno energia per la vita di tutti i giorni”.
Scorrendo l’elenco delle vostre commissioni, si va dall’alpinismo per adulti e giovanile, all’escursionismo, al ciclo-escursionismo, alla discesa, allo snowboard, ai rifugi e, non ultimo all’impegno sociale. Complicato coordinare tutte queste attività?
“Il ruolo del Presidente non è difficile in quanto ci sono, si dice sempre ed è vero, dei validi collaboratori e affiatati compagni di cordata. Devo dire che nella nostra grande famiglia bergamasca, anche dal punto di vista numerico (per inciso – sottolinea con orgoglio– CAI Bergamo e CAI Bergamasco è la realtà più numerosa a livello nazionale con oltre 14.000 soci), lo spirito bergamasco la rende sempre concreta nelle proprie azioni, molto operativa e competente, molto vivace e creativa, ed in questo senso le Commissioni, Scuole e Gruppi sono numerosi perché la montagna può essere vissuta con tante sfaccettature. Alpinismo, scialpinismo, escursionismo, speleologia, sentieri, e, non ultimo come avete citato, l’impegno sociale, inteso come spirito di promozione della montagna per tutti, anche per le persone con disabilità. Abbiamo classificato e promosso infatti una serie di percorsi che favoriscono questa fascia di amici affinché anche loro possano vivere il diritto alla felicità ed alle emozioni che la montagna può offrire a chiunque entri in contatto con le bellezze e le meraviglie di questa realtà”.
Ci è piaciuto in particolare il tema giovanile e lo “Young people for Mountains – #Y4M”, un progetto che ha coinvolto i giovani alla scoperta della vita in montagna.
“Questo progetto detto in inglese ai bergamaschi non suona molto bene ma dobbiamo anche dire che oggi ai bergamaschi, soprattutto i giovani, hanno davvero un forte senso di identità e di appartenenza, radicati nel loro territorio, nelle loro Valli, nelle loro comunità ma anche giustamente aperti al mondo e quindi anche l’inglese rientra nella loro quotidianità. Il progetto, molto interessante, si chiama appunto “Giovani per la montagna” con il coinvolgimento della Presidenza del Consiglio Regionale Lombardo nella figura del Dr. Alessandro Fermi. Ci siamo detti: vogliamo sostenere un’opportunità ai giovani per frequentare le montagne e sentieri di Lombardia, per vivere esperienze concrete, emozioni autentiche (quindi nel mondo reale e non nella realtà virtuale dove spesso i giovani vengono sempre più catturati). Li invitiamo a conoscere e frequentare le montagne per qualche giorno offrendo l’opportunità di vivere l’ospitalità gratuita dei nostri rifugi ma con il compito di restituirci il loro “diario di viaggio” ovvero le loro scoperte e curiosità ed in particolare incontrando ed intervistando le persone che vivono la montagna (rifugisti, alpeggiatori e pastori). Questo era lo spirito del progetto. Abbiamo convolto 120 giovani a livello regionale e crediamo di aver acceso un’opportunità per molti giovani, riscontrando il loro gradimento e la soddisfazione. E’ un progetto realizzato nel 2021 ma lo stiamo migliorando perché in previsione del 2023, in cui Bergamo e Brescia saranno capitale italiana della cultura e contemporaneamente nel 150° compleanno della Sezione CAI di Bergamo, vorremmo che questo progetto fosse di respiro europeo affinché i giovani d’Europa desiderosi di venire a visitare le nostre Alpi Orobie abbiano un’opportunità di essere ospitati, raccontandoci anche la loro visione di montagna e delle possibili scelte di vita, oggi luogo di particolare qualità!.
Concordi che è una vera e propria responsabilità trasmettere alle nuove generazioni l’amore per la montagna e la natura, da conservare soprattutto ora che è particolarmente aggredita dall’incuria e dall’inquinamento?
“Verissimo, se da un lato abbiamo detto che è nel nostro DNA la missione della nostra associazione di promuovere l’avvicinamento, la conoscenza e la frequentazione consapevole della montagna, allora in questo compito formativo ed educativo, ma anche di grande responsabilità sociale, ci sentiamo rassicurati dall’esperienza e saggezza di persone che hanno vissuto per decenni la montagna (una scuola di vita per eccellenza). Nello stesso tempo abbiamo la consapevolezza di trasmettere un messaggio importante a tutti alla luce delle nuove sensibilità ambientali, culturali, dei cambiamenti climatici e la transizione ecologica. La necessità di alzare il livello di coscienza e tutela della montagna si sposa con quanto proprio i giovani possono mobilitare sempre riguardo all’ambiente e il rispetto della natura. Per questi obiettivi comuni possiamo coniugare l’energia dei giovani con le esperienze degli adulti. Ci sentiamo di assumerci queste responsabilità con entusiasmo e nella consapevolezza che la montagna aiuta a crescere di generazione in generazione”.
Nel 2019 avete lanciato il progetto “Save the mountains” in collaborazione con A.N.A. Negli intenti dichiaraste che gli obiettivi erano: “… educazione alla sostenibilità, per avvicinare e accompagnare la gente in montagna con rispetto…”. A distanza di tre anni qual è il bilancio?
“Bilancio positivo. Innanzitutto, da quando abbiamo lanciato il messaggio “Save the mountains and the cultural heritage”, che va posto in analogia a quanto perseguono i giovani “Save the planet”, ci siamo resi conto che tutti insieme possiamo salvare le montagne se salviamo la gente che vive in montagna e di montagna. Le vette e le profondità rappresentano luoghi incontaminati e spesso inospitali, dove possiamo praticare l’alpinismo e diverse attività, ma a noi sta a cuore la “montagna di mezzo” ovvero quei luoghi e territori dove possiamo e dobbiamo favorire le persone che vi vivono, con la loro educazione, con le loro tradizioni, la loro cultura, ma anche con il loro ambiente di vita, di mestieri antichi e nuovi, la gestione di risorse naturali e di servizi ecosistemici. Abbiamo così stimolato e coinvolto l’Osservatorio per le montagne bergamasche, Istituzioni, Fondazioni e Associazioni, e in particolare il Consiglio Regionale di Lombardia che ha permesso di istituire attraverso una legge la “Giornata regionale per le montagne” che coincide con la prima domenica di luglio e mettere al centro dell’attenzione pubblica le montagne e le comunità di montagna di casa nostra. Stiamo preparando un progetto che lanceremo quest’anno intitolato” Famiglie e giovani in montagna” che offrirà l’opportunità di sostenere, grazie alle risorse messe a disposizione dal progetto del CAI Regionale, i giovani di una fascia d’età tra i 6 ed i 16 anni di vivere un’esperienza tra sentieri e rifugi insieme alle proprie famiglie”.
Lo scorso anno insieme agli amici dell’Aido di Bergamo (che festeggiavano i loro primi 50 anni di vita) avete organizzato l’evento “50 vette per il dono della vita” con l’obiettivo di portare la speciale bandiera su 50 cime delle montagne bergamasche. Un’iniziativa che ha permesso di “fare rete” con un’altra associazione dall’alto valore sociale. Il mondo dell’associazionismo a tuo parere può trarre linfa da queste iniziative aggregative? In tal senso anche le collaborazioni con il Gruppo Alpini o quello Speleologico hanno cementato le vostre attività?
“Sicuramente si, il concetto della cordata è l’esempio più chiaro di cosa vuol dire lavorare insieme e soprattutto “legarsi” insieme anche fisicamente, non solo per affrontare insieme e superare insieme le difficoltà ma soprattutto, e questa è una riflessione più sottile, che la cordata non si scioglie di fronte agli ostacoli. Lo spirito profondo del vivere la montagna è dunque fare cordata e saper stare in cordata e nelle difficoltà rafforzare la solidarietà. Ci fa piacere che avete citato l’esperienza dell’Aido anche perché questa associazione è nata da un’intuizione di un bergamasco (inizialmente con il D.O.B.- Donatori Organi Bergamaschi) per poi diffondersi su tutto il territorio nazionale. Il mondo dell’associazionismo riprende in molti aspetti quello dell’animo bergamasco e montanaro, silenzioso e tenace, scarponi grossi e capacità creative, concreto e solidale, e certo amico vero. Per noi è stato molto bello poter portare “in vetta” la bandiera di questi valori etici e sociali. Peraltro, questa esperienza bergamasca ha acceso l’attenzione anche dell’Aido nazionale perché nel 2023 festeggerà i propri 50 anni dalla fondazione ed i massimi vertici stanno già dialogando per organizzare insieme nuovi eventi in vetta. Bergamo, con spontaneità lo posso dire, diventa quindi un laboratorio di idee per la montagna e come traccia per iniziative che prendono poi respiro nazionale”.
Guardando all’orizzonte, immaginandoti magari su una delle nostre vette al tramonto, Paolo Valoti come vede il futuro di C.A.I. Bergamo?
“Prevedere il futuro certamente non è facile, soprattutto in questi tempi di emergenze, tragedie e criticità che hanno coinvolto tutto il mondo. Però crediamo che se la storia ci insegna qualcosa, se la storia ha un valore (e noi crediamo nella storia), possiamo dire veniamo da lontano e da sempre siamo dedicati per mondo migliore, grazie alle montagne. Veniamo dal 1873 e quindi credo che il CAI Bergamo abbia prospettive ancora aperte, orizzonti sociali ancora da scoprire, patrimoni culturali ancora da salvaguardare e diffondere. In questi due anni la pandemia ci ha fatto riscoprire il valore della qualità della vita, del senso di comunità e di un ambiente più sostenibile alle nuove necessità. Chi prenderà nel tempo il testimone dovrà farlo seguendo il sentiero tracciato dai nostri Padri nobili e raccogliendo le sfide dei cambiamenti ma sempre con il coraggio e la lungimiranza per il mondo della montagna e della natura di cui noi Soci CAI ci sentiamo fortunati protagonisti e ambasciatori. La montagna è fatta sì di granito ma è fatta anche di sogni e lassù più vicino al cielo si impara che, un passo alla volta, i sogni si possono realizzare”.
La passione per la montagna si legge negli occhi del Presidente Valoti, che incarna lo spirito bergamasco fatto di concretezza, di pragmatismo e di tanto desiderio di portare avanti un messaggio e un impegno che ha l’obiettivo dichiarato di mantenere viva la montagna, con tutta la sua unicità, con tutta la sua storia fatta di umanità, di solidarietà, di amicizia, di gratuità come quella che si vive nelle lunghe sere in uno dei nostri rifugi e nelle baite in quota. Una ricerca del silenzio che solo le vette sanno offrire in un incanto che ci è stato consegnato per essere protetto e mantenuto intatto, per le generazioni future.
Giuseppe De Carli