La gente del calcio è chi colora la mia vita da quando ho sei anni, trasformando i miei giorni di pioggia in pomeriggi interminabili, allegri e bagnati dal sole, che hanno il profumo intenso e meraviglioso dell’erba dei prati della Lombardia. Me ne sono innamorato da bimbino, la prima volta che ho indossato la divisa, gialloblù come quella del Brusaporto dei record, con Gian, il mio allenatore, che rideva sotto i baffi consegnandomi la maglia numero sette, “Teo, divertiti e dai il massimo perché d’ora in avanti e per sempre sarai l’ala destra dei pulcini dell’Aurora San Francesco”, che era la squadra del mio oratorio. Scarpe, maglietta, pantaloncini, calzettoni e parastinchi in una borsa che era più grande di me, poi la corsa giù dalle scale di casa, un secondo dopo in sella alla mia bicicletta, la bmx, a perdifiato lungo la discesa di via Ca’ Rossa per arrivare in tempo all’orario d’inizio degli allenamenti. Erano le cinque del pomeriggio ed entravo nel cancellino che portava agli spogliatoi, il mio personale paradiso.
La gente del calcio è chi gioca la domenica, il Cri, che di cognome fa Bellina ed è un concentrato di classe e fantasia, uno dei ragazzi più forti che ho visto da quando sono passato dal rettangolo di gioco alla tribuna, nel ruolo di giornalista, poi l’Andre, bandiera mai ammainata del Gorle, il Peso, mille e passa golassi in vent’anni di pallone, il Matte, che è Sora, un genio dalla bordata micidiale, quindi il Roby, per tutti il Pelle, un pallone decente a partita, un gol, senza dimenticarmi mai del Foga, numeri da Serie A, la massima fortuna di una manciata di squadre orobiche, un vero e proprio campione lì nel mezzo. Uomini meravigliosi in campo, ancora più belli dopo la doccia, vestiti normali al bar del paese, a ridere e a scherzare con l’intera squadra, da capitani navigati, pronti a coccolare i ragazzotti che fanno la regola e che si stanno facendo le ossa e che vanno abbracciati, mai rimproverati.
La gente del calcio è la poesia dei miei giorni, le donne e gli uomini che stanno al vertice del calcio nella Bergamasca, un movimento tra i migliori che ci sono in Italia. Non tanto per i mirabili risultati sportivi, che va ricordato che solo noi abbiamo la bellezza di sei club in Serie D, ma per l’idea che ci sta dietro, quella dei nostri dirigenti, di tutti i presidenti, nessuno escluso, riassunta in modo perfetto dal Gianfri, Lochis, massimo dirigente del Valcalepio, “il pallone è un dovere perché tiene lontani i giovani dalla strada, li fa crescere grandi e forti accanto ad amici leali e sinceri, tra i pochi che restano per l’intera vita”.
La gente del calcio è la mia gente. Sono gli arbitri, la condizione necessaria e fondamentale, ragazzi che per pochi euro stanno a dirigere quel cinema che è la domenica pomeriggio sui nostri campi di pallone, spesso sorbendosi in silenzio le feroci incazzature di chi perde. Ma la gente del calcio sono anche i mister, quelli che mi hanno allenato come quelli che raccontiamo ogni lunedì sul Bergamo & Sport, i tantissimi miei amici, fratelli più grandi, come il Gianni, che è Cefis, o il Paolone, che è Foglio, anni e anni di Serie A con la maglia dell’Atalanta, persone che migliorano l’esistenza di chi ha la fortuna di trovarseli di fronte nel proprio spogliatoio, spesso veri e propri padri, penso al Nado, a Curioni, a Foresti e a Sanga, in pizzeria stretti stretti all’attaccante che è stato appena lasciato dalla fidanzata o a tirare su il morale al terzino sinistro che ha improvvisamente perso il papà, che per ognuno di noi è il tifoso più importante.
Amo il calcio perché amo la mia gente. E ho sbagliato tante cose nella mia vita, ma una l’ho fatta giusta, varcare quel cancellino. E restarci per sempre.
Matteo Bonfanti
La mia prefazione a “La gente del calcio”, il nuovo bellissimo libro di Bergamo & Sport, la storia di cinquanta società calcistiche bergamasche, un volume da non perdere!!!