Da giornalista sportivo, cercando di togliermi i panni del tifoso, penso che Vlahovic sia tra i dieci al mondo che cambiano gli equilibri, trasformando al volo una squadra mediocre in una formazione formidabile, in grado di battere il feroce e inossidabile Verona di quest’anno. Con Dusan in campo, Morata può far vedere tutto il suo immenso potenziale, quello di una seconda punta velocissima e meravigliosa, e Dybala torna ad essere il fantastico giocatore che è, un visionario, uno dei migliori suggeritori del campionato italiano perché tra i pochi che sulla trequarti saltano sempre l’uomo. E poi, con lui là davanti, dico il giovane serbo, i centrocampisti bianconeri respirano e ragionano perché lui è un gigante che stressa gli avversari, che fa casino, che pressa e che tiene su il pallone, col risultato che la difesa di Allegri non è più così bersagliata. Applausi quindi ai dirigenti della Vecchia Signora, che si sono assicurati il nuovo Ibra, la stessa voglia, la stessa rabbia, lo stesso talento sopraffino.
Detto questo, se io fossi un tifoso della Viola, cambierei squadra per via di Commisso, massimo dirigente che non si è fatto scrupoli ad aiutare così tanto la Juve, la nemica storica, quella del doloroso trasferimento di Roby Baggio, ammazzando a stagione in corso la sua bellissima Fiorentina edizione 2021-2022. Uno con po’ di poesia calcistica, se proprio, ma se proprio proprio, immagino se costretto, insomma con le pezze al culo, ricoperto dai debiti e con Equitalia perennemente al seguito, avrebbe dato Vlahovic in Premier a giugno, organizzando la famosa asta che già era in corso tra il Chelsea e l’Arsenal. Invece il massimo dirigente italoamericano dimostra una volta di più di avere un’unica passione, quella del denaro, con un comportamento identico a quello tenuto con Chiesa. Soldi, soldi e soldi, vuole solo i soldi, il resto non importa, della fede che hanno i tifosi ce ne si sbatte altamente i coglioni.
Quanto alla Dea, che amo perché ne scrivo dal 2000, e quanto al mio Milan, che proprio ieri sera mi ha dato una gioia immensa, lottando coi denti su ogni pallone fino a vincere contro un’Inter assai più forte, credo che per arrivare in Champions bisognerà sudare le fatidiche sette camicie. L’Atalanta, domenica proprio con la Juventus, probabilmente senza il suo top player, Zapata, dovrà buttare il cuore oltre l’ostacolo, quello di una rosa cortissima, proprio come diceva in luglio, a bocce ferme, quel fenomenale stratega soprannominato Gasp. Impossibile fare un pronostico, sia per la qualificazione alla vecchia Coppa Campioni, ma persino per lo scudetto. Ci sono cinque squadre in ballo, Inter, Milan, Napoli, Juventus e Atalanta, sostanzialmente di pari forza, una farà una grande festa, le altre tre potranno continuare sulla linea tracciata, l’ultima dovrà ridimensionarsi senza i tantissimi soldi che dà l’Uefa alle prime quattro classificate in Serie A, le sole col green pass per partecipare alla competizione chiave nel nostro continente. Troppe le variabili per impegnarsi a tentare un pronostico, soprattutto per via degli infortuni che potrebbero capitare ai tre top player che hanno in rosa le cinque big del calcio italiano, i cosiddetti campioni, quelli che la vincono da soli, pure nella pioggia e nel vento.
Chiudo sul calcio moderno, su Vlahovic, un fuoriclasse, ma identico a Donnarumma, a Kessie, a Perisic e a Insigne, ragazzi a cui ne propongono quattro o cinque all’anno, parlo di milioni, ma che dicono no a chi li ha cresciuti e amati, aspettati, coccolandoli sempre e comunque, convinti dai loro procuratori che sia meglio averne dieci da degli sconosciuti che alla prima giornata storta li metteranno in croce. Questi calciatori sono robot senza cuore, fortissimi sul rettangolo di gioco, ma privi di un’anima, quella che ha chi si lega perché riconoscente. Fossero umani, avessero incontrato Mino Favini, saprebbero a memoria due cose sulle conseguenze dell’amore e non si sposterebbero per quattro banconote in più nell’ennesima valigia piena zeppa da infilare sotto il materasso. Io, nel mio piccolo, ho rinunciato a mille euro tondi pur di stare nella mia squadra, che i duemila, che prendo da un decennio, per me sono già tantissimissimissimi, ma solo se sto a lavorare con chi amo e con chi stimo e poi a fare quello che mi piace.
Poveri loro, i nuovi mercenari del pallone che si perdono la vita, a menare il torrone sulle prime pagine dei giornali perché sono un sacco tristi, offesini dagli insulti che gli piovono in ogni dove, quelli scritti dai tifosi che, giustamente, si sentono traditi, perché pensano che il calcio sia anche poesia, non solo una questione puramente economica. Parlassero i vari Vlahovic, Çalhanoğlu e il Gigio nazionale, ora triste e in panchina, anche solo una volta con Gigi Riva, Sandro Mazzola, Gianni Rivera, Michel Platini, Glenn Peter Stromberg, Preben Arsen Elkjaer, Javier Zanetti, Paolo Maldini, Francesco Totti e Alessandro Del Piero, dieci unici, quasi una squadra, bandiere che hanno sempre addosso il sorriso dell’appartenenza e che manco si sono posti la domanda quando è arrivata la proposta a dieci zeri del Real Madrid. Neppure hanno richiamato. Avevano altri sogni. E sono ancora nel mito.
Matteo Bonfanti