419456_10151238739072122_614332391_ndi Matteo Bonfanti

Nell’incredibile fortuna di avere due papà, Marco ed Ernesto, mi sono alzato e c’era un raggio di sole che usciva dalle imposte e avrei voluto prendere la Vespa e un giorno di ferie per andare a trovarli, prima l’uno, poi l’altro, senza un ordine preciso, a seconda del movimento del vento e del momento. Col mio babbo naturale, Marco, sarei stato a chiacchierare delle nostre somiglianze: la barba folta, ma che ha due buchi simmetrici sul mento, gli occhi azzurri, la propensione masochista a fidarsi delle persone sempre e comunque, l’amore per le parole. Con l’altro papà, Ernesto, quello che non c’entra con il mio concepimento, ma parecchio con la mia crescita, avrei parlato di giornalismo, di politica e di pallone, del Milan, mai tanto in basso, ma anche dell’Atalanta che domenica pareva il Real Madrid e non è che accada tanto spesso. Con entrambi saremmo stati a nuotare tra i ricordi, dolcemente, immersi nel miele come quando io ero piccolo e loro giovani.
Sono figlio di separati, qualcosa di straordinario perché d’un colpo mi ha moltiplicato i legami. Detto dei padri, mi sono aumentate le madri, ma soprattutto i parenti, raddoppiati in stile Gremlins, per la confusione dei miei figli Vinicio e Zeno, sette e cinque anni e un incredibile esercito di nonni al seguito. Ai miei due bambini, quando siamo in macchina verso Lecco, faccio fare la classifica dei famigliari preferiti: in vetta c’è sempre Ernesto, in fuga da anni, meglio di Pantani al Tour de France del 1997 sull’Alpe d’Huez.
I bambini sono di chi li ama, non solo di chi li mette al mondo. Quindi, in questa giornata, faccio gli auguri a quei padri (e a quelle madri) che fanno una fatica boia a crescere dei ragazzi che non sono manco loro. Perché se uno è sangue del tuo sangue è più facile perché è molto guardarsi allo specchio. A me succede così: vedo i miei figli che me ne combinano di cotte e di crude e mi ricordo che anch’io facevo lo stesso e non mi viene neppure da incazzarmi. Più che altro mi metto a ridere, insieme a loro, sentendomi parte della stessa stirpe che da secoli s’infila in guai d’ogni tipo, senza un vero motivo, solo per passare qualche ora in allegria.
Diverso credo sia per Ernesto, un tempo, ma anche adesso. Mi guarda e non ci assomigliamo per niente, né il viso né i pensieri. Eppure è un riparo da venticinque anni.

(NELLE FOTO: IN ALTO ERNESTO CON I NIPOTI, SOPRA MATTEO ED ERNESTO)