Alla fermata

è il primo bellissimo libro di Elisa Sgubin, un’opera brillante nata durante la pandemia, precisamente nell’aprile del 2020, che racconta diciotto storie raccolte nel mondo nella volontà di indagare come si stesse affrontando la situazione nei vari angoli del pianeta. “Tra dicembre e gennaio ho avuto il sentore che in Asia qualcosa non stesse funzionando, e quando il Covid è arrivato in Italia ho seguito l’evoluzione e mi sono detta che fosse una situazione epocale, da annotare per i posteri, un evento di cui tenere traccia. Insomma, volevo documentare quanto stava succedendo”, esordisce la scrittrice, che continua spiegandoci come ha organizzato il lavoro “non sapevo che sarebbe uscito un libro, ho semplicemente deciso di contattare diverse persone per documentare, durante il mese di aprile, quanto stesse accadendo. Lavorando anche a tempo pieno, l’intenzione di parlare con una persona al giorno è presto tramontata, ma ho comunque cercato di organizzare un calendario approssimativo, tenendo anche conto dell’amico con cui andavo a parlare e della parte del mondo in cui era”.
Diciotto persone di diciotto nazioni diverse, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Russia al Brasile, e ancora Spagna, Francia, Hong Kong, la Nigeria, la Tunisia, la Scozia e ovviamente l’Italia di cui Elisa, che vive a Londra da ormai 15 anni, è originaria.
Un libro che non solo racconta l’esperienza del Covid ma che punta a raccontare l’esperienza delle persone e cosa ha lasciato a loro, “nella vita sono sempre super positiva, però penso che il Covid sia soltanto l’inizio di qualcosa e che ci sarà sicuramente una ripercussione sulla prospettiva di vita di alcune persone, perlomeno a livello psicologico. Sono problemi che probabilmente vedremo tra diversi anni, non subito, ma se per ora siamo spaventati dall’impatto economico, credo dovremmo prepararci presto anche ad altre problematiche, per questo secondo me le carte vincenti sono la cooperazione e l’aiuto reciproco. Ci vuole coesione e non farsi condizionare dalle ristrettezze del momento. E l’insegnamento che in qualche modo vuole dare il libro è quello di cercare il più possibile di avere una visione globale, imparare da esempi positivi e non farsi scoraggiare. L’umanità ha agito in modo tardivo, c’è stata poca solidarietà internazionale ed è per questo che la collaborazione reciproca è importante, tra persone, vicendevolmente, sentirsi bene facendo del bene”.
Spesso e volentieri però gli scrittori scrivono anche per raccontare loro stessi, per esprimere un proprio bisogno ed un proprio desiderio, e da un certo punto di vista anche per Elisa è stato così, “sono a Londra da quindici anni e ironia della sorte nel 2020 me ne sarei voluta andare via, il Covid ovviamente me lo ha impedito. Sono arrivata volendo starci tre mesi, ci sono rimasta tantissimo tempo. È stato un periodo della mia vita importante, sono rimasta e ho deciso di osservare cosa stesse succedendo, quindici anni fa come oggi, in un momento storico, unico e irripetibile. Sono una persona di mare, preferisco il villaggio alla città ma la multietnicità mi attrae, e nonostante fossi stufa di una Londra eccessivamente frenetica e troppo veloce, ho provato a rendermi utile. Il libro non ha un intento di guadagno, non c’è business, l’ho visto come un dovere storico. Nasce con l’intento di dare un servizio, un fine sociale senza alcun ritorno monetario, per questo il ricavato andrà a progetti rivolti all’educazione giovanile, probabilmente una o più borse di studio che verranno presentate in seguito, questa è l’idea principale, sicuramente si rivolgerà a ragazzi tra i 13 e i 20 anni”.
I giovani sono dunque un tema importante che la pandemia ha se non danneggiato, quanto meno cambiato, “il covid ha cambiato un po’ la vita di tutti, soprattutto quella delle nuove generazioni, che tuttavia sono diverse dalla nostra, hanno un fortissimo interesse per l’ambiente, sono attenti all’aiuto interpersonale e sono più legati ai diritti civili. C’è già un cambiamento in atto, la società pre covid piano piano scomparirà in favore di una coscienza collettiva. C’è chi si focalizzerà su ciò che è stato perso ma ci sarà anche una percentuale di persone che abbracceranno il cambiamento, è una responsabilità di tutti. Non so se verrà un mondo migliore, forse per i più giovanissimi che hanno vissuto la pandemia inconsapevolmente, per questo sarà importante l’educazione e cercare di trasmettere valori di condivisione e aiuto”. Il libro vuole che ci si fermi un attimo, vuole che ci si prenda del tempo per capire e scoprire, il titolo ha infatti questo intento, “ritengo il titolo appropriatissimo, non è venuto in mente a me, ma ha un doppio significato: Alla fermata è il posto dove ci si ferma un attimo a riflettere aspettando l’autobus, ma Alla fermata è anche una delle tante tappe che si fanno nel mio libro, diciotto racconti che sono anche un’indagine su quanto accaduto negli svariati angoli del mondo. Io amo scrivere, e penso di essere più brava a mettere le parole su un foglio piuttosto che a dialogare, per questo penso di aver fatto una cosa positiva, di aver lasciato qualcosa di utile per non dimenticare, come se fosse una memoria storica di un evento che nella storia non ha precedenti”.
La chiosa della scrittrice è un monito per il futuro, “la pandemia ci ha lasciato tra gli altri due insegnamenti importanti: adattamento e cambiamento, vince chi si adatta e l’uomo deve farlo con reciprocità se vuole sopravvivere”.
Alla fermata, edito da Bergamo & Sport, ora in stampa, sarà in tutte le edicole e in tutte le librerie dal 15 novembre al costo di 14 euro e 90 centesimi. Lo consiglia l’autore dell’articolo, ma anche il direttore Matteo Bonfanti. Tanti i motivi per leggerlo, soprattutto perché è un libro incentrato sull’esperienza del Covid, ma anche perché è uno scritto che rintraccia le scelte di vita dei suoi personaggi, donne e uomini coraggiosi e che hanno viaggiato tanto, senza paura, sempre alla ricerca di un’esistenza migliore.
Daniele Mayer