Ho vissuto a Valgreghentino poco poco, qualche anno, perché già ero grande, maggiorenne da qualche mese. Studiavo, anzi facevo finta, lavoricchiavo, giocavo tantissimo a pallone e suonavo tutte le sere o quasi nel garage di Dritto, convinto di far parte dei nuovi Rolling Stones, pronto per un’imminente esibizione a Wembley che non sarebbe mai arrivata. Così, nella nuova casa di mia mamma, Valeria, e di suo marito, Ernesto, ci andavo solo a dormire e manco ogni sera perché ero fidanzato e spesso restavo dalla mia bella.
Poi però, quando me ne sono andato, Valgre si è improvvisamente trasformato nel mio paese dei balocchi, tanto per via che ci abitano due che sono stabili nella top ten dei miei amori, appunto Vale ed Erni, una coppia che sta in alto a sinistra del cuore di chiunque ci abbia passato del tempo insieme. Sono magici, allora come oggi, quando arrivo alla cazzo senza che loro se lo aspettino minimamente e immediatamente imbandiscono la tavola con ogni ben di dio, tipo come finire a magnare Da Vittorio, ma con delle porzioni giganti. E poi io suonicchio ancora, appena posso, sempre lì, nel fresco della loro taverna, prima con Claudio, ora solo, dopo essermi bevuto un paio di birrette alla Ca’ del Diaul, un circolo Arci che è un vero e proprio orgoglio personale grazie a una parete intera dedicata al Che, al secolo Ernesto Guevara.
A Valgre è un po’ pure la natura, quella collina, con quelle frazioni antiche, le case di pietra, le distese di alberi, i cavalli, gli asini, le discese ardite e le risalite su nel cielo aperto, che forse Lucio Battisti e Mogol erano a farsi un giro lì in zona quando hanno scritto l’inarrivabile “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi”.
Ma non sono solo Ernesto e Valeria, che mio figlio Vinicio ha iniziato a chiamare la ValAria, perché starle vicino dà quell’effetto di freschezza nei polmoni tipo magnarsi dieci Fisherman Friend, le caramelle balsamiche che andavano di moda quando io ero ragazzo. Ma non è solo che è il paese dove mi rifugio anche perché sta a trenta chilometri da casa mia, la distanza esatta per scappare pur restando alla portata di chi mi ama. Ma non è solo che è un posto bello bello, meraviglioso.
C’è anche la gente, davvero bellissima esteticamente che pare di stare nel paese delle modelle e dei modelli di Gucci. E talmente tenera che vuole bene pure a me, ma tantissimo, quasi fossi un cittadino onorario, come mister Gasperini a Bergamo. Penso a Gabri e a Cri, ad Andrea e a Claudia, al sindaco Matteo, a Francesca, a Vera, persone che mi sorridono sempre, che se passo e le incontro, se la ridono con me e mi mettono il buonumore addosso e tutto intorno.
Sono nato a Lecco, vivo a Bergamo e ho le mie origini a Bologna, eppure sento Valgreghentino come casa mia. E sono immensamente felice di suonare e di presentare il mio libro, il Vestaglietta, venerdì dalle nove di sera in biblioteca. Ma più di tutto oggi è la felicità di essere finito sul cartellone luminoso del comune, qualcosa tra le tre più fighe che mi sono accadute in vita mia.
Matteo Bonfanti