Questo anno lo ricorderemo a lungo perché non ci ha fatto mancare nulla in negativo. Neppure, in mezzo ad una pandemia (realtà molto più importante, lo riconosco, di un gioco come il calcio) che lascia ancora strascichi e tanti dubbi sul futuro, l’improvvisa situazione all’interno dello spogliatoio di una squadra ammirata in questi ultimi anni soprattutto per l’unione d’intenti, l’umiltà e la capacità di realizzare risultati impensabili. Con il classico fulmine a ciel sereno, qualcosa pare essersi spezzato. Cosa sia successo non lo sapremo mai con precisione ma tutto ci si poteva aspettare tranne che si mettesse in dubbio il capitano, l’emblema della squadra e per lunghi anni, il più talentuoso di un gruppo bellissimo. Il capitano è un ruolo che va oltre la semplice funzione imposta dal regolamento, è il rappresentante dei suoi compagni, è quello che dialoga con l’arbitro e con gli avversari, è il “braccio destro” dell’allenatore ed è, soprattutto, colui che porta in campo il nome della Società, della Città e di un’intera provincia. E’ il primo ad arrivare al campo di allenamento ed è l’ultimo ad andarsene. E’ quello che “ci mette la faccia” quando le cose vanno male (ricordiamo tutti il ruolo magistrale di Zoff durante i Mondiali ’82) e che divide con tutta la squadra le vittorie.
Nel giorno dell’ennesimo traguardo societario che abbina l’Atalanta al mitico Real Madrid negli ottavi di Champions League, questa buriana mediatica lascia l’amaro in bocca. Nessuno ne potrà uscire vincitore ed alla fine si metterà in discussione il concetto di “riconoscenza” (da entrambe le parti in conflitto). La riconoscenza nella vita è un elemento raro e non solo nel mondo del calcio. La riconoscenza è qualcosa che permea le persone che sanno di aver raggiunto un traguardo non solo con le sole proprie forze ma quasi sempre anche con il contributo di bontà d’animo, altruismo, empatia, a volte opportunismo, di chi ti sta vicino e un pizzico di fortuna, inutile negarlo, che è sempre una componente variabile in funzione della dose che governa la nostra vita.
Non si può fare un processo senza un pubblico ministero ed una difesa e soprattutto senza le prove. Purtroppo alla maggior parte di coloro che seguono questa vicenda da vicino non è chiaro questo aspetto “giuridico” e, assumendosi il ruolo di solo giudice, pur nella libertà di pensiero, vivono il momento alimentandosi di mezzi social che fanno trapelare verità, false verità, e clamorose invenzioni. L’Atalanta ha avuto decine di capitani, da Angeleri a Doni, a Bellini a Gomez. Tutti passati tra momenti belli e momenti delicati con quella fascia al braccio che deve pesare tanto quando la si indossa con quelle motivazioni accennate prima. Ma tra tutti porto ad esempio Glenn Peter Stromberg, grande uomo che ha accettato la Serie B portando per mano una squadra di onesti lavoratori in cima all’Europa e facendo sognare un popolo prima ancora dei fasti continentali di questi ultimi anni. Un uomo d’onore arrivato tra lo scetticismo e qualche sarcasmo ma che poi ha fatto piangere tutti quando ha terminato la sua carriera a Bergamo. Un ragazzo dell’estremo Nord che continua ad essere nei cuori di chi lo ha visto giocare e lottare per quella maglia. La stessa che verrà indossata in futuro da altri uomini e da altri capitani che cercheranno, pur con i loro limiti umani, di rappresentare un simbolo.
Giuseppe De Carli